Non è un uomo colui che asseconda le prospettive imposte dalla brutalità dell’aggressione bellica, che punisce ogni respiro umano: questo essere primitivo è privato della capacità di pensare.
Logica e semplificazione purtroppo non bastano, per capire ci vorrà un pensiero assai più profondo. La prospettiva dell’orrore è molto più complessa di quanto possa apparire. Il peso della violenza estrema applicata ai più deboli, agli indifesi e ai bambini ha assunto dimensioni tali da non consentire percorsi futuri sostenibili. La ricostruzione è ideazione di un paradosso e il teorema della normalità negata impedisce di pensare il futuro: vivere equivale a essere oggi, non esiste spazio per il dopo.
Quello che si è manifestato all’improvviso – contestualmente alla liberazione momentanea dalla presenza assillante del nemico russo – è uno spazio apparente, una bolla all’interno della quale manca il respiro. I corpi semisepolti, quelli velati nelle pose della normalità violata, le tracce delle sofferenze imposte con ostentato sadismo, le strade di paesi talmente piccoli da non essere attrezzati per sopportare tanto orrore e che sono stati spazzati via: tutte immagini che sembrano sottratte al passato, quando ancora il progresso non ci aveva dotati di strumenti che ci avevano illuso sul modello dell’uomo contemporaneo.
L’uomo, nelle prospettive imposte dalla semplice brutalità dell’aggressione bellica, è essenziale. Da un lato la preminenza di un istinto primordiale che acceca, con ottusa indifferenza, ogni razionalità e induce gesti che infliggono male assoluto. Per uccidere un bambino, violentare creature indifese, colpire con armi micidiali persone che si inginocchiano e distruggere ospedali od orfanotrofi non si deve pensare. Non è un uomo quello che infierisce nei confronti di chi non può neppure immaginare di reagire, quello che distrugge per il gusto di contemplare le rovine, che si accanisce per annientare ogni sospiro di vita: questo essere primitivo del terzo millennio è stato privato della capacità di pensare. Concepisce solo l’azione brutale.
Dall’altro, l’infinita fragilità di chi non può che subire, di coloro che anelano la normalità, di quanti – lontani dalle logiche spietate di chi regge le sorti di una nazione che opprime – non riescono a non stupirsi per ciò che viene loro inflitto, di chi attende al ritmo delle sue ansie che il pericolo si allontani. Di coloro che vedono i figli violati nonostante l’offerta della loro vita in cambio, che vorrebbero il silenzio ma sono costretti alle grida della sofferenza, che subiscono senza riuscire a sperare nella vita.
Non esiste altro, ora. Questo è il momento in cui il silenzio, pieno di dolore, induce a pensare che non sarà possibile tornare alla normalità.
di Cesare Cicorella
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