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Modi dell’odio

Se vogliamo combattere l’odio, è la persona umana vittima dell’odio che dovremmo proteggere, a prescindere dal fatto che appartenga a una data categoria  
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Se vogliamo combattere l’odio, è la persona umana vittima dell’odio che dovremmo proteggere, a prescindere dal fatto che appartenga a una data categoria  
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Se vogliamo combattere l’odio, è la persona umana vittima dell’odio che dovremmo proteggere, a prescindere dal fatto che appartenga a una data categoria  
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Se vogliamo combattere l’odio, è la persona umana vittima dell’odio che dovremmo proteggere, a prescindere dal fatto che appartenga a una data categoria  

Odiatori, discorsi d’odio, crimini d’odio. Haters, hate speech, hate crime. Non da ieri si cerca di mettere un freno alle manifestazioni di odio e anche di mettere un po’ di ordine nei concetti con cui ne parliamo, magari a partire dalle definizioni giuridiche. Ma qui c’è la prima sorpresa. Sia a livello italiano sia a livello internazionale, manca una definizione condivisa di discorso d’odio e pure di crimine d’odio. In compenso è abbastanza chiaro sia che cosa i due concetti abbiano in comune sia che cosa distingua un discorso d’odio da un crimine d’odio.

L’elemento che accomuna discorsi e crimini d’odio è che l’odio stesso deve essere motivato da un pregiudizio che l’autore nutre nei confronti della vittima in ragione di una “caratteristica protetta” (reale o solo presunta dall’autore) di quest’ultima. Dove le caratteristiche protette sono tipicamente razza, etnia, nazionalità, religione, genere, orientamento sessuale, identità di genere, disabilità. L’elemento distintivo, invece, è che per parlare di crimine non basti l’odio motivato da pregiudizio, ma occorra che l’odio si oggettivi in un fatto previsto dalla legge penale come reato. Questo significa, ad esempio, che scrivere su Internet «Odio gli omosessuali» non sia un crimine d’odio (perché è solo un discorso, manca il reato). Mentre picchiare un omosessuale è un crimine d’odio solo se il movente è l’omosessualità (altrimenti è solo un crimine).

Ed eccoci alla seconda sorpresa: se accettiamo le definizioni prevalenti, ci sono comportamenti indiscutibilmente basati sull’odio che però non rientrano né nella categoria dei discorsi d’odio né in quella dei crimini d’odio. Detto in altre parole, la mappa concettuale dei modi dell’odio è incompleta. La ragione di fondo della lacuna è la scelta di restringere il bersaglio dell’odio ai membri di categorie protette, odiati per il fatto di appartenervi. Ma un comportamento, verbale o materiale, può essere benissimo basato sull’odio senza con ciò essere riconducibile a pregiudizi riguardanti la categoria protetta cui la persona apparterrebbe. È un buon motivo per non considerarlo un discorso o un crimine d’odio? Se insulto e minaccio di morte il vicino di casa, il mio non è un crimine d’odio solo perché lui non è né nero né gay né musulmano né femmina né transessuale né bisessuale né disabile? Mi pare leggermente assurdo. Se vogliamo combattere l’odio, è la persona umana vittima dell’odio che dovremmo proteggere, a prescindere dal fatto che appartenga a una data categoria o che l’odio sia basato su pregiudizi o su motivazioni di altra natura.

La controprova ce la offrono due esempi politici. Curiosamente (ma non tanto, se riflettiamo su quel che si è detto) nelle campagne contro l’odio in Rete si dimentica il caso di Joanne Rowling (l’inventrice di Harry Potter) e di tutte le altre donne – femministe e non – denigrate, minacciate, bollate con l’acronimo dispregiativo Terf (Trans Exclusionary Radical Feminist) per il solo fatto di aver rivendicato le basi biologiche dell’essere donna. La ragione è semplice: pur essendo spesso bersaglio di odio, le donne gender critical come la Rowling non sono ancora considerate una categoria degna di protezione (e sperabilmente non lo saranno mai: è l’idea stessa di categoria protetta che andrebbe messa in discussione).

Il secondo esempio è più vicino a noi ed è quello degli insulti in tv («Bastardi») rivolti da Roberto Saviano all’indirizzo di Giorgia Meloni e Matteo Salvini. Sarà la magistratura a decidere se il comportamento di Saviano integra il reato di diffamazione o si tratta solo di libero esercizio del diritto di critica politica. Quel che è interessante, però, è che anche in questo caso nessuno ha ritenuto di parlare né di discorsi né di crimini d’odio.

Due pesi e due misure? Non necessariamente. Forse solo la conseguenza logica di una lacuna: il legislatore, in Italia come in Europa, sembra non aver compreso che l’odio si muove a 360 gradi e che è la dignità delle persone – non quella delle categorie cui appartengono – il bene primario da proteggere.

di Luca Ricolfi

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