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L’ottusità del falso ambientalismo

Da mesi ogni striscia d’asfalto è diventata il potenziale teatro di pantomime ambientaliste tanto prevedibili quanto uguali a sé stesse
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L’ottusità del falso ambientalismo

Da mesi ogni striscia d’asfalto è diventata il potenziale teatro di pantomime ambientaliste tanto prevedibili quanto uguali a sé stesse
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L’ottusità del falso ambientalismo

Da mesi ogni striscia d’asfalto è diventata il potenziale teatro di pantomime ambientaliste tanto prevedibili quanto uguali a sé stesse
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Da mesi ogni striscia d’asfalto è diventata il potenziale teatro di pantomime ambientaliste tanto prevedibili quanto uguali a sé stesse
Più degli strattoni e degli insulti, delle urla e delle minacce, della rabbia e delle suppliche in nome di un ammalato da visitare o di un orario di lavoro da rispettare. E anche più dei cordoni improvvisati in tangenziale, dei manifestanti trascinati a braccia verso il guard rail o degli striscioni di protesta strappati in due da scooter inferociti al traguardo dell’esasperazione. C’è un’immagine che, meglio di queste e di tante altre a cui siamo ormai abituati, riesce a descrivere il livello di surrealtà raggiunto dalla questione dei blocchi stradali. Risale a qualche settimana fa, in una strada statale del Nord Italia. Solito cordone di dimostranti accucciati sull’asfalto, solito traffico paralizzato, soliti clacson impazziti. Arriva una pattuglia della Polizia stradale, gli agenti cominciano a negoziare con i bloccanti per cercare di indurli a lasciare il campo. C’è il capo pattuglia che con grande pazienza dialoga con il capo dei dimostranti: «Avete fatto la vostra manifestazione, ora lasciate passare la gente». La replica: «No, dovrete portarci via con la forza». L’agente: «Noi non possiamo, dobbiamo chiamare i colleghi del reparto operativo per farlo». La discussione – pacata, va detto – prosegue fino a quando all’improvviso la sirena di un’ambulanza copre strepiti e clacson di automobilisti, camionisti e scooteristi in coda. Sembra fatta, ora finalmente i dimostranti romperanno le righe. Macché, niente. L’agente: «Davvero non volete far passare neanche un’ambulanza?». Il capo dei bloccanti: «Questa mattina presto abbiamo chiamato il 118 avvisando che avremmo bloccato questo tratto e che dunque non avrebbero dovuto far passare ambulanze da qui. Perché non ci sono stati a sentire?». Eccola, l’immagine definitiva: lo sguardo del poliziotto – furente e incredulo, impotente eppure compassionevole di fronte a cotanta ottusità – che incrocia quello neutro del bloccante impegnato a ripetere i suoi slogan mandati a memoria. Da mesi ogni tipo di striscia d’asfalto – basta che sia ad alto scorrimento e cruciale per il flusso del traffico – sembra essere diventata un potenziale teatro di pantomime ambientaliste tanto prevedibili quanto uguali a sé stesse. I cittadini al volante subiscono (ritardi, arrabbiature, stress), i prodi antagonisti se la ridono fieri per l’impatto mediatico delle loro gesta, abilmente architettate in diretta sui social e telecamere bene a fuoco. Nell’era di un fin qui molto presunto new deal tutto “legge e ordine”, gli episodi si susseguono. La legge ci sarebbe (il “Pacchetto sicurezza” risale a poche settimane fa, il blocco stradale è un reato, la manifestazione non autorizzata pure), ma a quanto pare funziona poco e male. L’ordine latita, galleggiando fra competenze impalpabili, limiti di intervento e consuete invocazioni alle carenze di organico. Finisce così che lo scenario più probabile diventa il Far West. Arriverà un momento in cui i più maneschi fra i cittadini esasperati – che fino a oggi hanno soltanto schiaffeggiato, scalciato, colpito là dove le telecamere non arrivano – si sentiranno in diritto di andare oltre. E sarà allora che vedremo scattare una reazione a cui abbiamo fatto il callo: sdegno mediatico, roboanti dichiarazioni d’intenti, ennesimo decreto ad hoc pronto per restare (come tutti gli altri) inapplicato. E via così, a ricominciare il ciclo. di Valentino Maimone

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