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Invalsi 2023

Lucignolo

L’analisi dei test Invalsi2023 mostrano dati imbarazzanti, coerenti con un trend lungo decenni. Ma nessuno fa qualcosa per invertirli
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L’analisi dei test Invalsi2023 mostrano dati imbarazzanti, coerenti con un trend lungo decenni. Ma nessuno fa qualcosa per invertirli
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L’analisi dei test Invalsi2023 mostrano dati imbarazzanti, coerenti con un trend lungo decenni. Ma nessuno fa qualcosa per invertirli
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L’analisi dei test Invalsi2023 mostrano dati imbarazzanti, coerenti con un trend lungo decenni. Ma nessuno fa qualcosa per invertirli
L’analisi dei test Invalsi 2023 ha dato origine a una valanga di commenti e valutazioni, gran parte delle quali sospesi fra il costernato e il rassegnato. Nulla di nuovo, come sottolineeremo fra poco, se si eccettua una diffusa lettura secondo la quale il Covid avrebbe assestato una specie di colpo di grazia alla già molto claudicante scuola italiana. Che la situazione nel biennio segnato dalla pandemia sia peggiorata e che il livello di apprendimento medio dei nostri ragazzi fra i banchi sia ulteriormente sceso è un dato di fatto. Chiunque abbia figli in età scolastica non avrebbe avuto bisogno degli Invalsi per certificare i danni a medio lungo e termine generati dalla Dad, organizzata in fretta e furia e in quel modo. Nulla contro il digitale, anzi, ma quella fu la toppa – l’unica possibile – piazzata per coprire in qualche modo la voragine aperta dall’isolamento obbligatorio dei ragazzi. Insomma, siamo messi peggio di prima ma appunto seguiamo un trend lungo decenni, che ha visto progressivamente impoverirsi l’offerta didattica e formativa. Sempre al netto di meravigliosi esempi di abnegazione e passione, di scuole e singoli professori che interpretano il loro lavoro come una missione, la media dell’insegnamento in Italia è sconfortante da una vita. Sono anni che facciamo arrivare all’esame di maturità (e quel che è peggio all’università e al mondo del lavoro) ragazze e ragazzi che hanno oggettive difficoltà a comprendere testi in italiano di medio livello. Per tacere della matematica, vero e proprio buco nero della nostra scuola. I paragoni con il resto d’Europa sono imbarazzanti: ci vedono costantemente perdenti per distacco, mentre assume contorni patologici il disastro nel disastro del Sud. Un terzo del Paese, in cui gli Invalsi denunciano risultati 15 punti percentuali più bassi al termine della scuola primaria e del 22-23% al termine delle superiori. Per la matematica arriviamo addirittura a un abisso del 30%. Parliamo tantissimo di scuola ma quasi sempre di professori, pressoché mai di cosa e come insegnino ai nostri figli. Lo stesso tempo dedicato ai docenti se ne va in massima parte per parlare di concorsi, stipendi e orari, come se il Paese fosse un gigantesco sindacato dei prof. Sempre troppo pochi, troppo poco pagati e troppo poco considerati. Peccato che chiunque osi soltanto immaginare un sistema premiale per chi si impegni e insegni più e meglio venga bollato come un pericoloso reazionario. Ci teniamo una scuola che sforna ignoranti, affollata da insegnanti volenterosi e capaci equiparati a sfaticati o peggio. Facciamo di tutto per indurre allo sconforto anche i tanti che ci credono ancora, a dispetto di un sistema arcaico, di strutture fatiscenti, di un interesse a chiacchiere. Ogni governo e ogni ministro promettono attenzione e centralità, poi dopo due settimane si comincia a parlare dei ‘precari’ e non la si smette più: non sfugge alla regola anche l’attuale esecutivo, con il ministro Giuseppe Valditara che ha trionfalmente confermato il “concorso agevolato” a cavallo dell’estate, cioè domani. L’idea stessa di concorso agevolato dice tutto su come consideriamo la nostra scuola e cosa pretendiamo da chi ci va a insegnare. Pensate come debbano sentirsi i docenti coscienziosi e preparati nel sentir parlare di vere proprie corsie preferenziali per gente che poi si troverà nella cattedra di fianco, pagata come loro. A prescindere, avrebbe detto Totò, dalla reale preparazione e capacità di insegnamento. A ribellarsi dovrebbero essere gli stessi ‘precari’, perché al danno di aspettare da tempo immemore la possibilità di regolarizzare la propria posizione vedono aggiungersi la beffa dello stigma di chi è stato spinto in graduatoria con un concorso oggettivamente facilitato. Pensate al paradosso: i test Invalsi certificano che insegniamo male – sempre nella media, lo ripetiamo – ma consideriamo questo stesso insegnamento un titolo di merito, nel caso dei ‘precari’. Meritevoli di un’autostrada ad hoc. Siamo incartati, ripetiamo sempre gli stessi errori e non diamo la sensazione di voler invertire la rotta. di Fulvio Giuliani

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