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Maltrattamenti in Rsa, un problema da affrontare

L’ennesimo caso di maltrattamenti in una Rsa ci impone di riflettere su una riforma delle case di riposo, anche considerando che ne avremo sempre più bisogno
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La vicenda delle violenze e dei maltrattamenti in una casa di riposo di San Donà di Piave ha acceso per l’ennesima volta i riflettori su quanto può accadere nel settore delicato dell’assistenza agli anziani non autosufficienti. Un tema di cui dibattere non soltanto quando c’è un caso di cronaca, visto che il nostro Paese è divenuto e diventerà sempre più vecchio e che pertanto tali strutture risulteranno sempre più indispensabili.

Si chiamano Rsa (Residenze sanitarie assistenziali) ma in realtà l’acronimo non rappresenta qualcosa di definito. Da regione a regione vi sono grandi differenze nei tipi di servizi che vengono offerti e quindi nei livelli di assistenza garantiti. Così come – nonostante viga il principio che parte della retta viene corrisposta dal servizio sanitario nazionale e parte dalle famiglie – non vi è uniformità sulla quota da attribuire rispettivamente al primo e alle seconde. Per esempio, per un giorno di degenza in Rsa in Emilia-Romagna vengono corrisposti dal Ssn tra i 28 e 44 euro mentre la compartecipazione delle famiglie è di circa 50 euro. In Lombardia, invece, non vi è una cifra stabilita a livello regionale. Si procede insomma in ordine sparso ed esistono differenze anche fra le strutture: alcune sono di tipo socio-assistenziale, altre garantiscono servizi prevalentemente sanitari.

In Italia nel 2020 gli over 65 non autosufficienti erano quasi 4 milioni di persone. Poi c’è stata la pandemia, il caos che ha travolto tutti e anche le stesse Rsa. Dati più aggiornati non ve ne sono ma sappiamo che in percentuale il numero di anziani aumenta di anno in anno e quindi in prospettiva normare queste strutture a livello nazionale sarebbe fondamentale. I problemi sono tanti: innanzitutto il numero di posti letto nel nostro Paese è inferiore alla media europea. E poi sono per la stragrande maggioranza concentrati nelle regioni del Nord. Se lì la copertura del fabbisogno (considerando gli over 75 non autosufficienti) supera il 10%, nel Meridione le percentuali variano fra l’1 e il 5%. Vi sono poi differenze nelle stesse tipologie di Rsa (pubbliche, pubbliche con servizi affidati a privati, private convenzionate, completamente private) e altrettanto significative sono le differenze delle rette corrisposte dalle famiglie.

L’emergenza Covid e la conseguente carenza di personale negli ospedali ha poi costretto all’emanazione di bandi pubblici per l’assunzione (a condizioni allettanti) che hanno determinato una consistente emigrazione di infermieri e operatori socio-sanitari dal settore privato a quello pubblico. Una coperta corta (la formazione di queste figure professionali è infatti a numero chiuso) che ha lasciato scoperte diverse posizioni proprio nelle Rsa, nonostante un deciso incremento della loro attività. I motori di ricerca specializzati si riempiono così di offerte di lavoro che difficilmente trovano adeguata risposta. Può quindi accadere che la selezione di nuovo personale non sia accurata come dovrebbe essere (in queste professioni la motivazione e l’attitudine al servizio degli altri sono elementi decisivi) e purtroppo questo può portare a esiti disastrosi. Operare una riforma sul piano della formazione è quindi un passaggio fondamentale per garantire che soggetti estremamente fragili come gli anziani non autosufficienti vengano tutelati e accuditi in maniera adeguata.

Di Annalisa Grandi

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