Mentre la politica riempie le piazze, la musica dal vivo muore
| Società
Piazze gremite, senza mascherine e distanziamento, al seguito di politici in campagna elettorale, mentre il settore dello spettacolo affonda. Nemmeno aumentare la capienza al 75% servirà a salvare alcune realtà ormai sul lastrico
Mentre la politica riempie le piazze, la musica dal vivo muore
Piazze gremite, senza mascherine e distanziamento, al seguito di politici in campagna elettorale, mentre il settore dello spettacolo affonda. Nemmeno aumentare la capienza al 75% servirà a salvare alcune realtà ormai sul lastrico
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Mentre la politica riempie le piazze, la musica dal vivo muore
Piazze gremite, senza mascherine e distanziamento, al seguito di politici in campagna elettorale, mentre il settore dello spettacolo affonda. Nemmeno aumentare la capienza al 75% servirà a salvare alcune realtà ormai sul lastrico
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Da qualche ora si sta sollevando l’ennesima protesta dal mondo della musica italiana. Il motivo? Il nuovo leader del movimento 5 stelle, Giuseppe Conte, e il suo tour elettorale. Letta così potrebbe sembrare un accostamento senza senso, ma basterebbe guardare una delle decine d’immagini o video che da giorni hanno invaso i social per capire: sotto i palchi calcati dall’ex premier decine e decine di persone ammassate, senza distanziamento e, spesso, senza mascherina.
Non stupiscono pertanto le reazioni di alcuni cantanti che, tra ironia e amarezza, hanno affidato le proprie perplessità ai social. Oltre a Enrico Ruggeri, Bugo e Ermal Meta, spiccano le dichiarazioni di Salmo, già in estate al centro di una bufera per il concerto di Olbia, che su instagram ha scritto: «In questi giorni è iniziato il FLOP tour, abbiamo riempito le piazze d’Italia. Grazie a tutti, la vostra accoglienza è stata incredibile, ora andatevene a fanculo!» allegando un’immagine di Conte in piazza.


La questione è semplice: perché per questo genere di eventi le regole sembrano non valere? Il tutto mentre nel resto d’Europa e nel mondo si è sempre più vicini ad un ritorno ai concerti al massimo della capienza, come prima di questa pandemia.

In Italia non è così
In Italia la situazione ristagna da mesi, tra rimandi e dichiarazioni spesso in contrasto tra loro. Anche quando si parla di possibili esperimenti come, ad esempio, quello che avrebbe dovuto tenersi a Bologna nelle tre date di Cosmo, nessun passo in avanti viene fatto: concerto annullato, soldi restituiti. Se n’è scritto molto e si continuerà a scriverne della disparità di trattamento nei confronti del mondo della musica rispetto ad altre categorie, almeno finché non verranno prese delle decisioni che apportino dei cambiamenti concreti allo stato dell’arte. Le prime voci parlano di un passaggio intermedio che vedrebbe i concerti passare da un 25% a un 75% di capienza, ma anche questo dato potrebbe non essere sufficiente. Ci si dimentica troppo spesso che per organizzare eventi e date ci sono numerosi costi, fissi o meno, che chi si abbarca l’operazione deve sostenere. In questa estate tanto decantata per i successi sportivi molti hanno deciso di sfidare la logica e di svolgere comunque i concerti pattuiti con le limitazioni vigenti, andando certamente in perdita. Ma c’è chi questo non può più permetterselo e decide di chiudere i battenti. E il caso del Magnolia di Milano che, nonostante il sold out di tutta la stagione estiva, accumulati costi e spese non coperti dalle entrate dei live, si è visto costretto a chiudere in attesa di tempi migliori. Una risposta implicita per chi ha sempre affermato che per ovviare al problema di capienza sarebbe bastato aumentare le date a disposizione del pubblico, dimenticandosi che a moltiplicarsi, oltre ai posti, sarebbero stati anche i costi. La matematica, a quanto pare, continua ad essere materia ostica per molti. di Federico ArduiniLa Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
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