Molto rumore per…
| Società
Il punto non è l’andata di Bianca Berlinguer o il ritorno di Pino Insegno, ma la soffocante ripetitività degli schemi e delle polemiche in ambito televisivo
Molto rumore per…
Il punto non è l’andata di Bianca Berlinguer o il ritorno di Pino Insegno, ma la soffocante ripetitività degli schemi e delle polemiche in ambito televisivo
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Molto rumore per…
Il punto non è l’andata di Bianca Berlinguer o il ritorno di Pino Insegno, ma la soffocante ripetitività degli schemi e delle polemiche in ambito televisivo
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Lo ammetto: faccio fatica a capire tutto il rumore generato dal “clamoroso“ passaggio della conduttrice Bianca Berlinguer dalla Rai a Mediaset. Prime pagine sui quotidiani, aperture per ore dei siti online (anche sui social de La Ragione abbiamo dato la notizia in quanto tale, qui proviamo ad approfondire), un gran agitarsi della parrocchietta dei giornalisti. Per cosa?
Come ovvio – vale sempre la pena sempre sottolinearlo – il punto non è certo la rispettabilissima persona e professionista, ma l’autoreferenzialità di un mondo che crede di essere ancora nel XX secolo. All’epoca della televisione generalista al centro del villaggio o focolare di ogni famiglia, mentre oggi un talk come quello condotto dall’ormai ex volto di RaiTre è nella migliore delle ipotesi uno dei tanti.
Non il più brillante, moderno e stuzzicante. Un tipico teatrino a uso e consumo di politici in passerella e di una conduttrice oggettivamente ben poco empatica. Prodotto televisivo più che dignitoso, ma che non si è fatto scrupolo per anni di puntare sempre più a lungo su un personaggio caricaturale come quello di Mauro Corona, pur di raggranellare ascolti e un po’ di visibilità social.
Il punto non è l’andata di Bianca Berlinguer o il ritorno di Pino Insegno, ma la soffocante ripetitività degli schemi e delle polemiche. Una televisione stereotipata e anchilosata che recita stancamente se stessa, sempre per lo stesso club di spettatori, mentre tutto il resto del pubblico va altrove e manco si accorgerà di chi sia traslocato dove e perché. Come un bel pezzo di stampa impegnato ossessivamente a guardarsi pensoso l’ombelico.
Di Fulvio Giuliani
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