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Natale laico

Natale laico e consumistico

Dall’avvento della rivoluzione industriale, il Natale è la festa più laica della civiltà occidentale. Perfino i presepi hanno perduto la loro anima francescana per assumere valenze quasi esclusivamente estetiche

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Natale laico e consumistico

Dall’avvento della rivoluzione industriale, il Natale è la festa più laica della civiltà occidentale. Perfino i presepi hanno perduto la loro anima francescana per assumere valenze quasi esclusivamente estetiche

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Natale laico e consumistico

Dall’avvento della rivoluzione industriale, il Natale è la festa più laica della civiltà occidentale. Perfino i presepi hanno perduto la loro anima francescana per assumere valenze quasi esclusivamente estetiche

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Dall’avvento della rivoluzione industriale, il Natale è la festa più laica della civiltà occidentale. Perfino i presepi hanno perduto la loro anima francescana per assumere valenze quasi esclusivamente estetiche

Dall’avvento della rivoluzione industriale, il Natale è la festa più laica della civiltà occidentale. La società dei consumi, che trova trionfo già nella “Società dello spettacolo” del 1967 di Debord, ha finito per sottrarre quasi del tutto al Natale la sua cifra religiosa. La sacralità dell’avvento del ‘salvatore’ è stata insomma scalzata dalla luccicante erezione dell’albero di Natale. Qualcosa di simile ad Halloween: festa propagatasi sulla base dell’irlandese Samhain, in cui – durante la notte del 31 ottobre – si bruciava qualche animale, come facevano i greci per ingraziarsi gli dei (sempre meglio che bruciare qualche ‘strega’). Oggi i nostri bambini vanno in giro a proporre scherzetto o dolcetto, in una cornice di grande allegrezza.

Tornando al Natale, perfino i presepi hanno perduto la loro anima francescana per assumere valenze quasi esclusivamente estetiche. Mi auguro che questo elemento ‘consumistico’ prenda sempre più piede. Si arriverà così, se non a eliminare, perlomeno a marginalizzare sempre più l’aspetto confessionale, lasciando quindi il campo a una riflessione più seria relativamente al rapporto uomo-natura. Una riflessione capace di sottrarre alla presenza umana ogni elemento di centralità, alias una supremazia codificata esteticamente dall’uomo vitruviano ed eticamente da una catechesi che – sviluppatasi in quel Medioevo in cui la filosofia finì come servetta scema della teologia – regalò la sconfitta della morte. Una vita eterna non concessa però al mondo animale, che – ahimé per leoni e antilopi e balene – non ha avuto alcun ‘salvatore’.

Eppure, a partire dal Seicento, la filosofia si liberò delle briglie confessionali, muovendosi sull’asse cartesiano e non sulle salvifiche cinque vie di Tommaso d’Aquino. A Cartesio seguirono Kant, Rousseau e l’Illuminismo. Poi arrivò Nietzsche, ‘omicida’ di Dio. Ma affermare che «Dio è morto» (da non confondere con la nota canzone di Guccini, in realtà tratta da “Howl” di Ginsberg) significa ammettere il collasso della civiltà cristiana: quella che in un’incontestabile tesi di Croce genera la civiltà occidentale. Quell’oltre uomo nietzschiano poteva/doveva essere il punto di partenza per la nascita di un individuo sostenuto non più dalle rassicuranti garanzie metafisiche, ma da quelle di una ‘gaia scienza’ che l’avrebbe posto in una condizione di superiorità rispetto ai suoi predecessori prigionieri della metafisica. Una ‘superiorità’ derivante dall’accettazione della solitudine nell’universo. Eschilo fa dire a Prometeo che no, la techne dell’uomo non è più forte della Natura.

Come tutti gli esseri viventi, anche l’uomo nasce, cresce, muore. Una visione senza dubbio drammatica, come drammatici erano i greci, nella consapevolezza di morire irrimediabilmente e senza appello. Il monoteismo è stato il più grande inganno della storia degli uomini. In esso il passato è stato concepito come male (il peccato originale), il presente come redenzione, il futuro come salvezza. Basterebbe sostituire questa trilogia confessionale con quella laica indicata da Kant, in cui il passato è ignoranza, il presente ricerca, il futuro progresso. Mi sento quindi di plaudire alla ‘deriva’ consumistica del Natale, se ciò significa un ritorno – vero – a “L’età della Ragione”, per dirla con Sartre. Se cioè la celebrazione del consumo allontana quella della metafisica, se il profumo dei grandi brand francesi e italiani copre quello degli incensi.

di Pino Casamassima

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