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natale politicamente corretto

Natale politicamente corretto

A Natale l’inquisizione del politicamente corretto è ogni anno più stringente. L’importante è che nessuno oggi si senta offeso

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Natale politicamente corretto

A Natale l’inquisizione del politicamente corretto è ogni anno più stringente. L’importante è che nessuno oggi si senta offeso

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A Natale l’inquisizione del politicamente corretto è ogni anno più stringente. L’importante è che nessuno oggi si senta offeso

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A Natale l’inquisizione del politicamente corretto è ogni anno più stringente. L’importante è che nessuno oggi si senta offeso

Guai a dire «Buon Natale», molto meglio «Felice periodo di chiusura invernale»: sentite come suona caldo, pulito e spontaneo. È una delle ultime raccomandazioni dell’Università di Brighton: le festività si avvicinano con tutte le loro insidie ed ecco il galateo del politicamente corretto versione 2022. L’anno scorso ci aveva provato niente meno che la Commissione europea, con un documento a uso interno chiamato “Linee guida per una comunicazione inclusiva”, ma l’iniziativa fu un fuoco di paglia. Troppo presto per mandare in pensione in un colpo solo signore e signori, pompieri, poliziotti – che l’inglese castiga con l’imbarazzante desinenza men – e lessico cristianocentrico. Più semplice delegare i compiti alla società civile: dei convenevoli ripuliti si occupino le compagnie aeree («Gentili passeggeri» ormai va per la maggiore), le professioni al femminile siano inserite nei dizionari (il nostro Treccani è in prima linea), sulla scivolosa terminologia religiosa si pronuncino gli accademici. O i porporati, direttamente.

Ci spostiamo 200 km a Nord di Brighton, nel Leicestershire. Da giorni una nota chiesa della contea è finita alla ribalta per una rivisitazione woke di “God Rest Ye Merry, Gentlemen”: l’inedita seconda strofa è dedicata «alle donne, cancellate dagli uomini», la terza ai «queer e ai questioning (chi non ha risolto i propri dubbi sessuali, ndr.)». E pazienza se si tratta di un canto natalizio risalente al XVI secolo, citato anche da Charles Dickens e ben saldo nel patrimonio culturale anglosassone. Secondo la stessa logica, in Italia sarebbe allora opportuno un ritocchino alla “Divina Commedia”: Inferno, canti XV e XVI, dove i sodomiti corrono sotto una pioggia di fuoco.

L’importante è che nessuno oggi si senta offeso. Per questo la paranoia buonista non vuole correre rischi, fin dagli auguri più innocenti. Il dibattito fra «Happy Holidays» e «Merry Christmas» – altra fregatura dell’inglese: Gesù è parte della parola – divampa dalla Gran Bretagna agli Stati Uniti. Secondo “Nbc”, «scegliere una formula al posto dell’altra non è più questione di mera cortesia, ma un segno distintivo della propria identità». Tradotto: arroccarsi sul Natale è da retrogradi perché anche altre religioni celebrano importanti ricorrenze. A questo punto ci vide bene “Seinfeld”, folgorante sitcom degli anni Novanta che per dicembre propose il Festivus: una cerimonia attorno a un palo di alluminio spoglio, dove al posto dei doni ci si scambiano ingiurie mai confessate e qualche affettuoso cazzotto. Piuttosto degli stiracchiati sorrisi a prova di woke, si può sempre provare.

di Cesare Gottardi

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