L’”ingegnera” e l’”avvocata” cambieranno la storia?
Il tema della declinazione al femminile delle cariche professionali: l’evoluzione del nostro linguaggio, per essere più precisi.
L’”ingegnera” e l’”avvocata” cambieranno la storia?
Il tema della declinazione al femminile delle cariche professionali: l’evoluzione del nostro linguaggio, per essere più precisi.
L’”ingegnera” e l’”avvocata” cambieranno la storia?
Il tema della declinazione al femminile delle cariche professionali: l’evoluzione del nostro linguaggio, per essere più precisi.
Il tema della declinazione al femminile delle cariche professionali: l’evoluzione del nostro linguaggio, per essere più precisi.
Spinto da un post suggerito a Federica Marotti dall’esperienza stimolante e positiva di Inspire Day | 21 e 22 novembre a Milano e dalla passione trascinante di Francesca Polti, ho deciso di riprendere il tema della declinazione al femminile delle cariche professionali. L’evoluzione del nostro linguaggio, per essere più precisi.
Non ho mai considerato questa, sono onesto, una battaglia in grado di incidere in modo decisivo sul percorso che ci deve far approdare ad una reale parità di genere.
Il che non significa negare valore e tantomeno forza alle parole, all’identificazione attraverso queste ultime, all’evoluzione del linguaggio e – se vogliamo – a una vera e propria “rivoluzione“ del medesimo.
Ho sempre ritenuto, per sintetizzare, che una “transizione” in tal senso sia già in atto e sarebbe stata destinata ad accelerare sempre più con il passare del tempo, grazie a un’evoluzione dei costumi e dei rapporti fra generi al lavoro e più in generale nella società che è figlia di decenni di percorso, ma di una sensibilità enormemente cresciuta negli ultimi anni.
Non credo, al contempo, che una forte pressione in materia (con una moral suasion perché si passi dalla ‘classica’ declinazione professionale maschile a quella femminile peraltro approvata anche dall’Accademia della Crusca) possa avere effetti decisivi su ciò che continuo a considerare IL tema: le scelte di studio delle nostre ragazze – ancora oggi incredibilmente influenzate da schemi mentali e indicazioni familiari molto maschiocentrici – un’intollerabile differenza in stipendi e funzioni e la realtà ancor oggi granitica che dovendo sacrificare in famiglia gli spazi professionali di qualcuno il più delle volte la scelta ricada sulla donna.
Francesca e Federica, con la passione di cui sopra, mi hanno fatto notare come io ragioni così in quanto privilegiato: per la professione, l’abitudine all’osservazione, la fortuna e l’opportunità di incrociare i miei ragionamenti con persone molto preparate e, sopra ogni altra cosa, il mio essere bianco, occidentale, eterosessuale.
Pertanto, pur con le personali migliori intenzioni, affetto da un notevole bias. Non posso escluderlo e faccio di tutto per provare a superarlo (il primo passo è proprio riconoscerlo). Resto però dell’idea che – bias o non bias – una ragazza sarà spinta a intraprendere studi Stem, a vedersi a capo di un’azienda, di un cantiere, alla guida di un jet da combattimento, ai comandi di una missione spaziale o del Paese anche dall’idea di essere chiamata ingegnera, avvocata, sindaca, amministratrice delegata, direttrice… ma potrà farlo se sarà spinta, indotta e stimolata a studiare per quei percorsi. A vedersi lì.
A viverli come un’assoluta normalità psicologica ed educativa.
Il che renderà scontata la declinazione delle qualifiche e delle professioni. È un po’ l’uovo e la gallina, me ne rendo conto, ma i miei 50 cents li metterei sull’educazione in famiglia e nell’orientamento.
di Fulvio Giuliani
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