Non sono come le rose e fioriranno lottando
Le donne di talento non hanno bisogno di scuse né di quote. Ben vengano la statua di una donna in Prato della Valle (dopo 78 figure maschili) o un Capo dello Stato donna. Non perché si debba, ma perché lo si vuole davvero, in virtù della loro bravura.
Non sono come le rose e fioriranno lottando
Le donne di talento non hanno bisogno di scuse né di quote. Ben vengano la statua di una donna in Prato della Valle (dopo 78 figure maschili) o un Capo dello Stato donna. Non perché si debba, ma perché lo si vuole davvero, in virtù della loro bravura.
Non sono come le rose e fioriranno lottando
Le donne di talento non hanno bisogno di scuse né di quote. Ben vengano la statua di una donna in Prato della Valle (dopo 78 figure maschili) o un Capo dello Stato donna. Non perché si debba, ma perché lo si vuole davvero, in virtù della loro bravura.
Le donne di talento non hanno bisogno di scuse né di quote. Ben vengano la statua di una donna in Prato della Valle (dopo 78 figure maschili) o un Capo dello Stato donna. Non perché si debba, ma perché lo si vuole davvero, in virtù della loro bravura.
Speriamo che sia femmina. Davanti a un auspicio del genere perché dirsi contro? Sarebbe come biasimare chi si augura che domani sia bel tempo e che il sole risplenda. Oltre la superficialità facilmente benevola dell’affermazione “speriamo che sia femmina” va cercata infatti la sostanza che anima una frase così facile. E la sostanza ci dice che anche la conquista di ruoli di prestigio, di responsabilità, di busti al Gianicolo o di statue nelle piazze del Belpaese per le donne non potrà che passare da uno struggle for life, una lotta, un agonismo per la vita in concorrenza coi maschi, per dimostrare la propria bravura e i propri talenti. Senza rosa.
Il nostro è un Paese cattolico, è stato molto fascista e pure assai comunista, e in alcune zone – penso ad alcune aree dell’entroterra del Sud – fa ancora i conti con un ruolo della donna vissuto come ancillare e secondario. Trattasi di un Paese, il nostro, che fino a qualche decennio fa prevedeva il delitto d’onore e il matrimonio riparatore (come non ricordare la vicenda di Franca Viola, una donna che affermò con coraggio di «non essere proprietà di nessuno»; eravamo già negli anni Sessanta, quelli del boom economico) e oggi sembra volersi far perdonare tutti i suoi errori con il buonismo e con le quote a favore delle donne.
Ma le donne di talento non hanno bisogno di nessuna delle due cose. Né di scuse né di quote. Han bisogno semplicemente che vengano riconosciuti i loro meriti quando ci sono. Perciò, in queste ore, due temi di dibattito ci colpiscono. In negativo.
Il primo riguarda una questione di costume e di memoria. A Padova, in piazza Prato della Valle ci sono 78 statue di 78 uomini: tra questi ricordiamo il Tasso, il Mantegna, l’Ariosto, il Petrarca, Galileo Galilei, Tito Livio, il Canova e ovviamente molti altri. Immancabili si sono alzate delle voci di biasimo: mettiamo una statua di qualche donna. In Italia – dicono – ci sono poche statue di donne. Ma che ragionamento è? La mettiamo la statua femminile così, a bischero? Magari per fare quota. Questo è antifemminismo allo stato puro. Mettiamo statue della Montalcini in tutta Italia, perché no, ma non perché è femmina bensì perché è stata un genio.
Il secondo tema di dibattito riguarda i nomi e i cognomi fatti in queste ore per avere finalmente una donna al Colle che succeda a Sergio Mattarella. Anche qui, lo diciamo con franchezza: candidiamone pure dieci, venti, trenta di donne al Quirinale ma non perché femmine bensì perché più brave e migliori dei maschi proposti sino a ora per quella carica. Ci sono? Si facciano avanti. Noi speriamo con tutto il cuore che il prossimo capo dello Stato non sia femmina. Ma che sia brava, bravissima. Con la a finale.
di Aldo Smilzo
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