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Nuovi muri

Dopo la morte di Berlusconi, resistono i berlusconiani e gli antiberlusconiani. È l’Italia dei no, radicalmente conservatrice per ragioni di convenienza e ideologismo
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Dopo la morte di Berlusconi, resistono i berlusconiani e gli antiberlusconiani. È l’Italia dei no, radicalmente conservatrice per ragioni di convenienza e ideologismo
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Nuovi muri

Dopo la morte di Berlusconi, resistono i berlusconiani e gli antiberlusconiani. È l’Italia dei no, radicalmente conservatrice per ragioni di convenienza e ideologismo
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Dopo la morte di Berlusconi, resistono i berlusconiani e gli antiberlusconiani. È l’Italia dei no, radicalmente conservatrice per ragioni di convenienza e ideologismo
Adesso che i funerali sono stati solennemente celebrati, il lutto nazionale consumato, i coretti in piazza esauriti, la melassa dei laudatores e il rosicamento degli hater apparentemente riposti, è forse possibile provare a fare – pacatamente e serenamente (formula che però non portò grande fortuna al suo coniatore) – un ragionamento sul sistema Italia del dopo Cav.
 
Il primo elemento è razionalmente lapalissiano. Il berlusconismo è tumulato: Berlusconi era inimitabile e nessun clone potrà succedergli. Altrettanto lapalissianamente raziocinando, se il berlusconismo è sepolto anche l’antiberlusconismo merita di giacergli accanto. Re Silvio era come il Muro di Berlino: gli amici al di qua con lui e i nemici di là contro; in mezzo soltanto mattoni e cemento, vessilli di incomunicabilità. Crollato il Muro, liberi tutti. Ma il nostro, com’è noto, è il Paese dei paradossi.
 
Per cui resiste il berlusconismo dei veri o presunti continuatori e, guarda un po’, si scarica sulla giustizia (e dove sennò?) non con riforme bensì con riformette redatte “nel nome di Silvio” (lo ha spiegato bene su queste colonne Davide Giacalone). E ancor più rocciosamente resiste l’antiberlusconismo che su quei provvedimenti spara a zero, quasi non parendogli vero di poter continuare nel nome della demonizzazione che non deve passare.
Già così cadrebbero le braccia, sotto il peso gravitazionale della perenne individuazione del Nemico. Se però volessimo approfondire la questione – e lo merita eccome – le cose appaiono ancor più disarmanti e gravide di conseguenze negative. A partire da una disparità di fondo. Mentre infatti il berlusconismo e le sue riproduzioni sono inevitabilmente destinate a dissolversi – mentre al contrario resta intatta la densa questione politica di che fine farà quel 10% di voti decisivo per la governabilità italiana – l’antiberlusconismo non soltanto non demorde ma trova nuovi e formidabili occasioni per riproporsi, magari mutando pelle e bersagli ma sempre all’opera, vivendo e lottando a fianco della auto-nominatasi parte migliore del Paese.
 
Sta proprio qui il nodo. Berlusconi, fra profonde nefandezze e balzi innovativi, in un impasto da arci italiano che tanti ha fatto sognare, era il mostro contro cui (dal divano del salotto?) comodamente scagliarsi per sentirsi dalla parte del giusto e con la coscienza a posto. Scomparso e consegnato alla Storia lui, rimane il grumo marmoreo e malmostoso dei tanti che in sua assenza non sanno come orizzontarsi senza il Nemico e perciò si scagliano contro tutto quello che alla sua “postura” è riconducibile. È l’Italia dei no che ammantandosi di progressismo è invece profondamente e radicalmente conservatrice per ragioni di convenienza, di interessi, di pervicace e inossidabile ideologismo.
 
È l’Italia dei No Tav, No termovalorizzatori, No infrastrutture, dell’ecologismo inteso quale formidabile viluppo di divieti. È l’Italia che ipocritamente esalta ma privatamente rigetta le riforme, salvo quelle che perseverino collaudate rendite di posizione. Che si fa baluardo della Costituzione, non per inverarla e adattarla alle mutate condizioni politiche e sociali bensì per musealizzarla alla stregua di un feticcio bellissimo e intoccabile.
 
Nulla di strano che un tale magma che si trasfigura in zavorra faccia la guerra ai provvedimenti del Guardasigilli. Passata quella, ci saranno altre innumerevoli occasioni per riedificare il Muro anziché sgombrarne le macerie. Quasi quasi viene voglia di parafrasare, rovesciandolo, l’anatema di Giorgio Gaber: quel che è da temere non è il berlusconismo che è in noi ma il suo contrario.
 
Di Carlo Fusi

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