Occupazione e salari bassi
I dati parlano della crescita dell’Italia, eppure attualmente ci troviamo sulla parte bassa della curva degli Stati europei. Occorre scegliere come destinare i fondi europei, ridurre il cuneo fiscale e contributivo nel nostro Paese.
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I dati parlano della crescita dell’Italia, eppure attualmente ci troviamo sulla parte bassa della curva degli Stati europei. Occorre scegliere come destinare i fondi europei, ridurre il cuneo fiscale e contributivo nel nostro Paese.
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I dati parlano della crescita dell’Italia, eppure attualmente ci troviamo sulla parte bassa della curva degli Stati europei. Occorre scegliere come destinare i fondi europei, ridurre il cuneo fiscale e contributivo nel nostro Paese.
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I dati parlano della crescita dell’Italia, eppure attualmente ci troviamo sulla parte bassa della curva degli Stati europei. Occorre scegliere come destinare i fondi europei, ridurre il cuneo fiscale e contributivo nel nostro Paese.
Si fa un gran scrivere dell’ultimo dato sull’occupazione. Come spesso accade si cita il dato – l’essere tornati sopra quota 23 milioni – e lo si colora con ideologie politiche. Chi parla di aumento dei precari, chi trionfante del ritorno all’occupazione pre pandemia. Nel mezzo l’editoriale del direttore de “La Ragione” dello scorso 12 gennaio: rievoluzione, né di qua né di là. I numeri ci dicono che stiamo riprendendo a crescere ma che su molti indicatori ci poniamo sulla parte bassissima della curva degli Stati europei, e questo non è compatibile con il voler continuare a essere la seconda potenza industriale europea.
I fondi ci sono. Occorre una strategia industriale che porti a un posizionamento della produzione verso manufatti a sempre più alto valore aggiunto e per fare questo è fondamentale un approccio rigoroso alla formazione dei nostri giovani. La pietra miliare non può che essere la meritocrazia: chi più merita deve essere messo in condizione di portare valore. Il resto sono servizi, servizi, servizi. Che si chiamino industria del turismo o della cultura – dove siamo avvantaggiati sul resto del mondo – o terziario a vario titolo. E indotto: inconcepibile avere migliaia di lavori utili e dignitosi che non incontrano la domanda dei nostri giovani. Muratori, fornai, agricoltori servono in ognuna delle nostre città ma anche nei più piccoli paesi. Se i nostri giovani, soprattutto quando non adeguatamente scolarizzati, non accettano di fare questi lavori ritenuti più umili abbiamo un problema, di certo culturale. I fondi non potranno finanziare ulteriori aberrazioni come il Reddito di cittadinanza; i nostri ragazzi o accettano di formarsi – o ri-formarsi – per ambire a lavori utili oppure non rimpingueranno mai il numero degli occupati e, una volta finito di consumare i risparmi delle generazioni precedenti, si consegneranno all’oblio sociale.
Dove destinare dunque l’ingente ammontare di fondi che arriva dall’Europa, oltre che sulla formazione? Se vogliamo provare ad attrarre investimenti oltre che preoccuparci di limitare la delocalizzazione di produzioni a basso valore aggiunto – che tanto siamo comunque destinati a perdere, mai sentito parlare di Est Europa, Cina e India? – dobbiamo ragionare su come ridurre il cuneo fiscale e contributivo. Oggi in Italia, a fronte di una busta paga di 1.000 euro netti, il costo complessivo della stessa è di 1.828, considerando tasse varie e la doppia contribuzione da parte di dipendente e azienda. Non ci si stupisca, per lo stesso motivo, quando i critici del Reddito di cittadinanza, al di là di caricarla di valori sociali negativi, la associano a una potenziale fabbrica di lavoro nero: l’equivalente dei 780 euro netti che tutti conosciamo, per un lavoro che compensi lo stesso ammontare netto, ha costi che salgono a 1.360 euro.
Ancora peggio se consideriamo una comparazione delle retribuzioni medie dei diversi Paesi. Fatta 100 la retribuzione netta, Olanda e Spagna si attestano intorno a un costo complessivo sui 160, Svezia e Finlandia intorno ai 170, la Francia intorno ai 190 e la Germania poco meno dei 200. Cito solo Paesi europei ricchi, veri competitor in quanto ad attrazione di investimenti e ometto classifiche su corruzione e cattiva sindacalizzazione. Extra Ue, l’Inghilterra è poco più alta di 140 ma anche Giappone e Usa non toccano i 150. Noi? Siamo a 207! La vera ripresa passa da qui. Dobbiamo lavorare su elementi culturali – merito, umiltà e fatica in primis – così come su strumenti distintivi quali strategia industriale, formazione e competitività. Questo è un momento che non ricapita.
di Peter Durante
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