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Possiamo ancora parlare di “espansione di diritti”?

Che in materia di diritti l’Europa sia un ginepraio si vede a occhio nudo, ma siamo sicuri che, sul terreno dei diritti civili, la freccia del tempo punti ancora al loro ampliamento?

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Possiamo ancora parlare di “espansione di diritti”?

Che in materia di diritti l’Europa sia un ginepraio si vede a occhio nudo, ma siamo sicuri che, sul terreno dei diritti civili, la freccia del tempo punti ancora al loro ampliamento?

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Possiamo ancora parlare di “espansione di diritti”?

Che in materia di diritti l’Europa sia un ginepraio si vede a occhio nudo, ma siamo sicuri che, sul terreno dei diritti civili, la freccia del tempo punti ancora al loro ampliamento?

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Che in materia di diritti l’Europa sia un ginepraio si vede a occhio nudo, ma siamo sicuri che, sul terreno dei diritti civili, la freccia del tempo punti ancora al loro ampliamento?

Che in materia di diritti l’Europa sia un ginepraio si vede a occhio nudo. Che si parli di aborto, matrimonio gay, identità di genere, cambio di sesso o eutanasia, le differenze sono abissali. Ma come dobbiamo leggere questa diversità?

Una lettura molto comune è che i vari Paesi si trovino in stadi diversi del cammino che li condurrà tutti, prima o poi, a riconoscere determinati diritti fondamentali, visti come mete di imprescindibili battaglie di civiltà. Un’altra lettura vede il medesimo processo come una pericolosa deriva, che non afferma affatto la civiltà ma ne scandisce il declino. Quel che accomuna le due letture è l’idea che, comunque, la freccia del tempo punti in una direzione precisa, quella dell’espansione dei diritti. E che, essenzialmente, i vari Paesi differiscano solo per la velocità con cui progrediscono (o regrediscono, a detta dei conservatori).

Ma siamo sicuri che la freccia del tempo punti in una direzione sola, quella dell’espansione dei diritti? Fino a qualche anno fa lo si poteva ragionevolmente pensare, oggi è molto più difficile. Segnali di rallentamento o di vere e proprie inversioni di tendenza si osservano in più di un Paese, a livello sia legislativo sia di opinione pubblica. Il caso più clamoroso, probabilmente, è quello della Scozia governata dal (progressista) Scottish National Party, prima con la carismatica leader Nicola Sturgeon (in carica per 10 anni) e poi con il suo successore, l’ultra-progressista musulmano Humza Yousaf. Ebbene, nel giro di 15 mesi la situazione è completamente cambiata. Alla fine del 2022 la Scozia aveva approvato il Gender Recognition Act, una legge che consente il cambiamento di genere (self-id) già a 16 anni e senza pareri medici o legali. All’inizio di aprile di quest’anno è stato approvato lo Hate Crime Act, una legge che – sulla carta – punisce chi non riconosce come donne i maschi transitati a femmine (Mtf trans). Inoltre, da tempo veniva ventilata la possibilità di varare una legge molto permissiva sul suicidio assistito. Apparentemente, una marcia trionfale per le battaglie di civiltà dei progressisti. In realtà le tappe di una vera débâcle. La legge sul self-id ha provocato una vivacissima reazione delle donne – compresa Joanne Rowling (l’inventrice di Harry Potter) – preoccupate per l’invasione degli spazi femminili (comprese le carceri) da maschi auto-identificatisi come femmine. Di qui le repentine dimissioni della Sturgeon, benevolmente interpretate dai nostri media come sagge decisioni di una donna sopraffatta dalle fatiche del potere (la medesima interpretazione data per le dimissioni di Jacinda Ardern in Nuova Zelanda e di Sanna Marin in Finlandia). Passa un anno, il Gender Recognition Act viene bocciato dal governo centrale britannico e il successore della Sturgeon, Humza Yousaf, è costretto a sua volta alle dimissioni, travolto dall’ondata di critiche – ancora una volta guidate da Joanne Rowling – contro il potenziale liberticida dello Hate Crime Act, una legge in base alla quale (secondo alcuni attivisti trans) sarebbero dovuti finire in carcere quanti la pensassero come la Rowling e (secondo altri) pure il premier Yousaf, che in passato si era prodotto in discorsi d’odio contro i bianchi (anche qui, l’interpretazione benevola è che il governo sarebbe caduto per dissensi con il partito dei Verdi sulla politica ambientale). Nel medesimo periodo anche la Scozia, sulla scia dell’Inghilterra, deve frenare sulla somministrazione di bloccanti e ormoni ai minorenni, mentre i sondaggi rivelano che l’opinione pubblica è sempre più scettica sulla proposta di legge per facilitare il suicidio assistito.

Di qui due domande. Primo: siamo sicuri che, sul terreno dei diritti civili, la freccia del tempo punti ancora al loro ampliamento? Secondo: siamo sicuri che i leader progressisti abbiano il polso delle loro opinioni pubbliche? L’impressione è che, per molti politici di sinistra, gli attivisti e le lobby Lgbt+ contino di più dei rispettivi elettorati e che questa distorsione percettiva li renda ciechi e potenzialmente autolesionisti. È successo con Sturgeon e Yousaf in Scozia. Ma era già successo in Italia con Enrico Letta e la battaglia perduta sul ddl Zan. E potrebbe risuccedere con Joe Biden fra qualche mese, alle elezioni presidenziali americane.

Di Luca Ricolfi

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