Processo a Brescia, no alla cultura della violenza
Processo Brescia, c’è un limite oltre il quale non si dovrebbe mai andare. È quello della decenza. Il pm che sembra invocare ragioni culturali per giustificare gli schiaffoni
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Processo a Brescia, no alla cultura della violenza
Processo Brescia, c’è un limite oltre il quale non si dovrebbe mai andare. È quello della decenza. Il pm che sembra invocare ragioni culturali per giustificare gli schiaffoni
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Processo Brescia, c’è un limite oltre il quale non si dovrebbe mai andare. È quello della decenza. Il pm che sembra invocare ragioni culturali per giustificare gli schiaffoni
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Processo Brescia, c’è un limite oltre il quale non si dovrebbe mai andare. È quello della decenza. Il pm che sembra invocare ragioni culturali per giustificare gli schiaffoni
C’è un limite oltre il quale non si dovrebbe mai andare. È quello della decenza, del buon senso, del rispetto. Il caso del pm che sembra invocare ragioni culturali per giustificare gli schiaffoni e la schiavizzazione di una donna da parte del marito non soltanto varca tutti questi confini ma arreca danni enormi a chi lotta ogni giorno affinché le vittime di abusi denuncino senza paura il proprio aguzzino.
Riportiamo integralmente una parte del testo, per aderenza alla realtà fattuale e per provare a oscurare le cose imprecise che nel frattempo sono state scritte: «un impianto culturale e non della sua coscienza e volontà di annichilire e svilire la coniuge», visto che «la disparità tra l’uomo e la donna è un portato della sua cultura che la medesima parte offesa aveva persino accettato in origine» scrive il pm nella propria richiesta per scagionare l’uomo originario del Bangladesh. In poche righe, quindi, il magistrato sembra ammettere che sì, le violenze ci saranno pure state ma soltanto perché mosse da retaggi culturali che dunque non ne determinerebbero la colpa: è nato lì, che ci volete fare! A voler applicare lo stesso ragionamento, anche chi dovesse praticare l’infibulazione potrebbe meritare l’assoluzione perché spinto da credenze che gli sono state inculcate fin da piccolo. Fortuna che la realtà di uno Stato di diritto è radicalmente diversa e questo, in teoria, un magistrato dovrebbe saperlo. A leggere questo caso il dubbio sorge e non può che provocare profonda mestizia in buona parte dell’opinione pubblica e soprattutto di chi quotidianamente vive il dramma delle violenze domestiche.
Ogni fase del processo è una partita a scacchi dove ognuno prova a fare meglio le proprie mosse. Un diritto sacrosanto. Tuttavia non si può far finta di non vedere o nascondersi dietro le prerogative. Fiutando il caso, non sorprende che in queste ore siano diversi gli esponenti politici – di destra come di sinistra – d’accordo nell’invocare l’invio urgente degli ispettori presso la Procura di Brescia affinché venga fatta chiarezza sulla vicenda. Più che il rito degli ispettori, varrebbe la pena valutare l’insieme del lavoro del pm in questione, così come di tutti i pubblici ministeri e giudici.
Le campagne di sensibilizzazione, il rafforzamento delle misure in capo al Codice Rosso e tutti gli sforzi messi in campo per combattere la violenza di genere e poi giungono notizie come queste. Il bidello assolto perché mette le mani sul sedere di una ragazzina per meno di dieci secondi, le illazioni di simulata complicità nei confronti di una donna colpevole di ubriacarsi («Perché prima o poi il lupo lo trovi»), sei anni per stabilire che anche se la vittima non urla e non piange può esserci violenza sessuale sono soltanto alcuni casi che sommati ad altri ci dicono che, forse, a qualcuno può sfuggire il peso della violenza e della sopraffazione.
di Ilaria Cuzzolin
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