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prof impallinata

Chi continua a lanciare i pallini alla prof

La prof “impallinata” a Rovigo lamenta di essere stata lasciata sola. La responsabilità degli adulti è aver inculcato l’idea che l’autorità e il merito siano un “furto”
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Abbiamo seguito tutti il caso della professoressa bullizzata in classe a Rovigo. Caso estremo di violenza – sì, umiliare in quel modo una persona è violenza psicologica e fisica – in un’aula scolastica, prova suprema di imbecillità a uso social. Impresa realizzata per poter trarne un video virale, nella mente distorta di ragazzotti senza educazione e la più pallida idea di cosa siano e rappresentino l’autorità, la serietà e il rispetto.

Qualcuno, molti di meno, avrà letto l’intervista rilasciata ieri dalla stessa professoressa a la Repubblica. Nel colloquio, in buona sostanza, lamenta di essere stata lasciata sola dopo l’incredibile episodio, ben poco tutelata dalla sua stessa scuola e isolata dalla preside.
Come fosse diventata un fastidio, un soggetto da maneggiare con estrema cura per la pubblicità negativa che ha portato alla scuola, ai colleghi e così via.

Sul caso in questione e le accuse rivolte dalla docente nulla ci sentiamo di aggiungere, andrebbe ascoltata la versione della preside, etc… ma la cosa ci appassiona relativamente. Quello che sconvolge – correggiamo, dovrebbe sconvolgere – è l’humus che ha generato tutto ciò. Lo viviamo e respiriamo ogni giorno, non è necessario andare in quella specifica scuola di Rovigo o incappare in quei ragazzotti armati di cerbottana.
Le usavamo anche noi, ma fra di noi. Mai le avremmo rivolte verso il professore per un duplice e banale motivo: un generico senso di timore e rispetto per la figura dell’insegnante e l’assoluto terrore dei nostri genitori e delle conseguenze di un gesto che non puoi non “sentire” come idiota.

Di chi o cosa dovrebbero aver paura oggi? Lasciamo perdere le generalizzazioni, ma vogliamo dirci meravigliati della tendenza a prendere le difese sempre e comunque dei propri pargoli da parte delle famiglie? La responsabilità di noi adulti è avere inculcato l’idea che l’autorità sia una specie di “furto” o imbroglio, l’autorevolezza – in particolar modo di chi abbia studiato e faticato più di noi – un sopruso, non un merito conquistato sul campo. Siamo stati noi, le troppe famiglie pronte nella migliore delle ipotesi a far ricorso al Tar per una bocciatura o direttamente a insultare o peggio i professori per un brutto voto. Gli stessi pronti a berciare contro chi ci sia superiore per preparazione e successo nella vita come “elite” e “poteri forti”.

I bulli della professoressa di Treviso sono la punta dell’iceberg, ma sott’acqua c’è un magma di mancata educazione che sta generando mostri e disastri. Il caso di Rovigo è una vergogna, ma non fuori contesto.
È il frutto di un modo di fare e pensare diffusissimo prima fra i “grandi” e solo dopo, per riflesso, imitazione, se non direttamente insegnamento in famiglia, fra i ragazzi.

Quell’aula di Rovigo e qualsiasi luogo in cui si neghi il valore della preparazione, dello studio e dell’impegno sono esattamente la stessa cosa.

Di Fulvio Giuliani

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