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Il test che chiede “Quanto ti vergogni di tuo figlio disabile?”

Il Comune di Nettuno ha chiesto alle famiglie interessate quanto si sentano in imbarazzo ad avere un figlio disabile. Eppure, il vero problema non sono le domande, ma il fatto che dalle risposte dipenda l’erogazione dei fondi.
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Il test che chiede “Quanto ti vergogni di tuo figlio disabile?”

Il Comune di Nettuno ha chiesto alle famiglie interessate quanto si sentano in imbarazzo ad avere un figlio disabile. Eppure, il vero problema non sono le domande, ma il fatto che dalle risposte dipenda l’erogazione dei fondi.
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Il test che chiede “Quanto ti vergogni di tuo figlio disabile?”

Il Comune di Nettuno ha chiesto alle famiglie interessate quanto si sentano in imbarazzo ad avere un figlio disabile. Eppure, il vero problema non sono le domande, ma il fatto che dalle risposte dipenda l’erogazione dei fondi.
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Il Comune di Nettuno ha chiesto alle famiglie interessate quanto si sentano in imbarazzo ad avere un figlio disabile. Eppure, il vero problema non sono le domande, ma il fatto che dalle risposte dipenda l’erogazione dei fondi.
Un questionario per raccontare quanto ci si sente in imbarazzo o in difficoltà ad avere un figlio disabile. Il Comune di Nettuno (Roma) ha chiesto di compilarlo alle famiglie che da tempo aspettavano di ricevere i fondi messi a disposizione dalla Regione Lazio ma non ancora erogati, destinati a chi si trova a far fronte a ingenti spese per la cura di persone con gravi disabilità. Per restare in graduatoria e poter quindi aver accesso a quei soldi, oltre ad altri elementi come il reddito il Comune ha chiesto di indicare – con un punteggio da 0 a 4 – quanto ci si vergogni del proprio figlio o figlia con disabilità, quanto si provi del risentimento nei confronti di questa persona o quanto il suo comportamento possa mettere in imbarazzo. Domande che alcuni genitori hanno definito come «l’ennesimo schiaffo», facendo così rimbalzare sui media la notizia. In realtà quel questionario non è farina del sacco del Comune di Nettuno ma un questionario standard denominato “Caregiver Burden Inventory”, realizzato nel 1989 e comunemente utilizzato da Asl e servizi sociosanitari per monitorare il grado di stress del caregiver, ovvero di colui che si prende cura di una persona affetta da malattia grave o invalidante. Si tratta di uno strumento molto utile perché oltre al malato è necessario preoccuparsi e occuparsi della salute mentale di chi gli sta accanto. Va messa da parte l’ipocrisia ed è giusto ammettere che il carico emotivo che comporta curare un familiare disabile è enorme. La persona che lo fa può sviluppare sentimenti contrastanti o andare incontro al rischio di burnout. Nessuno scandalo per quelle domande, quindi: si tratta di questionari che vengono somministrati ovunque da anni. Il punto è che sono utili se vengono poi analizzati da persone competenti, da psicologi o specialisti. In questo caso, invece, il rispondere è stato inserito come condizione necessaria per poter accedere a fondi a sostegno di famiglie che, proprio per le spese mediche e assistenziali a cui fanno fronte, si ritrovano molto più spesso di quanto si pensi in condizioni di difficoltà economica. Non è chiaro quale collegamento vi sia fra questo e il sentirsi o meno in imbarazzo davanti agli amici per il fatto di avere un figlio disabile. Poste in questo modo, quelle domande sembrano soprattutto un modo per segnare un discrimine fra famiglie più o meno meritevoli o degne di ricevere quei soldi. Quei genitori, che affrontano quotidianamente fatiche immense, andrebbero casomai ascoltati e sostenuti, non trattati come se fossero sotto esame. Di Annalisa Grandi

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