Quel razzismo “velato” duro a morire
“Non riuscire a trovare una casa in affitto perché si indossa il velo”, accade in Italia, stando al racconto di una giovane influencer di origini egiziane. In Spagna, dal 2017, il cv è senza foto profilo per abbattere le discriminazioni.
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Quel razzismo “velato” duro a morire
“Non riuscire a trovare una casa in affitto perché si indossa il velo”, accade in Italia, stando al racconto di una giovane influencer di origini egiziane. In Spagna, dal 2017, il cv è senza foto profilo per abbattere le discriminazioni.
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Quel razzismo “velato” duro a morire
“Non riuscire a trovare una casa in affitto perché si indossa il velo”, accade in Italia, stando al racconto di una giovane influencer di origini egiziane. In Spagna, dal 2017, il cv è senza foto profilo per abbattere le discriminazioni.
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“Non riuscire a trovare una casa in affitto perché si indossa il velo”, accade in Italia, stando al racconto di una giovane influencer di origini egiziane. In Spagna, dal 2017, il cv è senza foto profilo per abbattere le discriminazioni.
Figlia dell’Imam della Magliana e sorella di Mariam Ali, candidata al consiglio comunale con Demos (coalizione centro- sinistra) Tasnim Ali, è una giovane influencer da 127mila followers, italiana di religione musulmana, che nei giorni scorsi ha fatto parlare molto di sé. La ragazza si è sfogata sui social raccontando di non riuscire a prendere una casa in affitto a Roma a causa dei pregiudizi verso chi porta il velo.
Sono passati pochi mesi dalle ultime manifestazioni Black Lives Matters eppure, quelle rimostranze sembrano solo tamponare una ferita, che continua a sanguinare senza mai arrestarsi. Il problema del razzismo non è un tema semplice, né da trattare né da debellare ma bisogna parlarne, ancora. Albert Einstein diceva “è molto più difficile rompere un pregiudizio che un atomo”, frase ancora attualissima a indicare le tante problematiche sociali che continuano a mietere vittime, alcune nel silenzio più totale. Quello di Tasnim Ali non è un caso isolato, la sua fortuna però è stata quella di avere un seguito numeroso sufficiente ad accendere i riflettori sulla sua situazione. Il razzismo è una brutta storia, lo sappiamo e continuiamo a ripetercelo da anni. Ma allora perché non riusciamo a uscire da questa piaga?
Quando anche la scienza era razzista
Tutto ebbe inizio quando nel 1851 lo scienziato Samuel A. Cartwright teorizzò che gli afroamericani schiavi soffrissero di devianze mentali descritte come malattie dei “negri” che li portassero ad evadere dalla società comune in favore dell’illegalità. In Italia gli studi di Cesare Lombroso, pioniere dell’antropologia criminale, teorizzavano una correlazione tra razza e crimine, con particolare riferimento alla differenza tra meridionali e settentrionali. Egli ipotizzò persino che le caratteristiche fisiche come determinate corporature e/o grandezze del cranio, potessero rivelare la pericolosità di un individuo. Studi ovviamente decaduti e considerati appartenenti al razzismo scientifico. Si dovrà attendere Franz Boas, capostipite della corrente antropologica anti-evoluzionistica e del particolarismo storico, per rivoluzionare le scienze in campo umanistico. Fu uno dei più importanti antropologi statunitensi della seconda metà del ‘900. Grazie ai suoi studi cominciò la prima fase di demolizione del razzismo; egli non solo riuscì a dimostrare che, le teorie formulate da Lombroso fossero infondate, ma riuscì persino a spiegare che le differenze di comportamento umano non fossero determinate da caratteristiche biologiche innate, quanto dal risultato delle differenze culturali acquisite mediante l’apprendimento sociale. La biologia, la “razza”, quindi risentono sia dell’ambiente fisico che di quello sociale.
Perché si dovrebbe dire etnia
Negli anni a seguire, grazie allo sviluppo degli studi antropologici sul relativismo culturale, non si parla più, o meglio non si dovrebbe più parlare di razza quanto di etnie. La storia della giovane Tasnim mostra quanto ancora oggi gli occhi siano rimasti giudici inquisitori di realtà diverse dalla “nostra”. La dimostrazione concreta di questo è stata data dalla necessità della giovane di dover rimuovere la propria fotografia da whatsapp per riuscire ad avere un appuntamento e visitare un’abitazione. Stando al racconto della ragazza “appuntamenti che puntualmente vengono annullati non appena il proprietario viene a conoscenza delle sue origini straniere”.
In Spagna il curriculum anti-discriminazioni
L’idea di rimuovere foto e dati sensibili è stata utilizzata dal Governo di Madrid. Dal 2017 infatti, la Spagna ha abbattuto questa discriminazione grazie alla Ministra della Sanità Doloers Montserrat attraverso un protocollo che consente alle aziende, su base volontaria, di ricevere curriculum senza nome, né fotografia, né dati utili a stabilire l’età, il sesso o la nazionalità dei candidati. Un modo alternativo per combattere stereotipi e pregiudizi. Ma dover ricorrere a questi escamotage per superare le barriere della discriminazione non può essere la soluzione. Il lavoro, come la casa, dovrebbero essere diritti acquisiti senza discriminazioni di genere, etnia o religione.
di Claudia Burgio
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