La società è cambiata ma la scuola non se ne è accorta
Ormai da anni si parla ossessivamente di scuola aperta anche d’estate. Se ne parla ma non si fa nulla
La società è cambiata ma la scuola non se ne è accorta
Ormai da anni si parla ossessivamente di scuola aperta anche d’estate. Se ne parla ma non si fa nulla
La società è cambiata ma la scuola non se ne è accorta
Ormai da anni si parla ossessivamente di scuola aperta anche d’estate. Se ne parla ma non si fa nulla
Ormai da anni si parla ossessivamente di scuola aperta anche d’estate. Se ne parla ma non si fa nulla
Da qualche giorno la scuola ha chiuso i battenti lasciando (come sempre) moltissime famiglie nel caos. Chi non ha la fortuna di avere dei nonni su cui contare – perché lontani o troppo anziani – deve inevitabilmente ripiegare sui campus estivi, business assai redditizio figlio di questi tempi moderni. Ma c’è anche un altro appuntamento che in questi giorni contribuisce a mettere a dura prova i nervi di genitori già particolarmente stressati: la presentazione della dichiarazione dei redditi, un’attività che da quando esiste il modello precompilato ci viene presentata dalla pubblica amministrazione come semplice e veloce, ma che in realtà nasconde insidie piuttosto snervanti. Basta mettersi alla prova per comprendere le complessità di una Babele di norme che cambiano di anno in anno.
Il rigo E8 è la casella dove inserire tutti quegli oneri detraibili come la mensa scolastica o l’attività sportiva frequentata dai figli. In un momento in cui si fa un gran parlare di aiuti ai genitori, di denatalità legata anche a motivi strettamente economici, non si può fare a meno di criticare la scelta di aver depennato la possibilità di portare in detrazione anche i campus estivi. Una distrazione non da poco, in considerazione del fatto che mediamente questo tipo di attività vengono a costare sui 200 euro a settimana (quei poveri genitori che lavorano anche il sabato o la domenica devono poi inventarsi ulteriori ‘numeri’).
Nel 2020, l’anno del Covid, i campus estivi entrarono anche loro nel ricco calderone dei bonus elargiti. Gli aventi diritto ottennero fino a 200 euro la settimana per un massimo di 1.200 euro in totale: una manna dal cielo dopo mesi durissimi per moltissime famiglie. A distanza di quattro anni, oggi il Covid è per fortuna un lontano ricordo. Ma le difficoltà legate alla gestione dei figli restano immutate. È chiaro a tutti che non è un bonus una tantum a poter risolvere la questione che – va detto – non è solo di natura economica ma anche di qualità dell’offerta.
Ormai da anni si parla ossessivamente di scuole aperte anche d’estate, sul modello di quei Paesi dove gli istituti chiudono solo per brevi periodi. Se ne parla sì, ma poi non succede mai nulla. Del resto, tenere le classi chiuse per oltre tre mesi non può non rappresentare un problema in una società che, rispetto a soli 20 anni fa, è profondamente cambiata: le mamme lavorano esattamente come i papà, i nonni – lo abbiamo detto – sono più avanti negli anni di un tempo e alternative valide come le colonie estive che un tempo duravano anche un mese di fila non esistono praticamente più (e, in ogni caso, chi potrebbe permettersele?). Si fanno i salti mortali, navigando a vista, sfruttando qualsiasi possibilità: la lontana zia, l’oratorio, una vicina di casa. I bambini più sfortunati (e quanti ne vediamo in questi giorni…) trascorrono giornate tutte miseramente uguali, recandosi al lavoro con i genitori, quando possibile. Basta andare in un negozio, per lo più gestito da stranieri, per notarli seduti in un angolo, tenuti a bada da mattino a sera da un telefonino che prende il posto di quello che un tempo era un pallone, un cortile, una comunità.
Recita un antico proverbio africano: «Per crescere un bambino ci vuole un villaggio». Era così anche da noi, fino a qualche tempo fa. Oggi quel villaggio è solo virtuale e ha le dimensioni di uno smartphone.
di Ilaria Cuzzolin
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