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Senza arte né parte

Le 12mila firme raccolte per escludere Israele dalla prossima Biennale di Venezia: è questo il coraggio? Nutriamo dei dubbi
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Senza arte né parte

Le 12mila firme raccolte per escludere Israele dalla prossima Biennale di Venezia: è questo il coraggio? Nutriamo dei dubbi
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Le 12mila firme raccolte per escludere Israele dalla prossima Biennale di Venezia: è questo il coraggio? Nutriamo dei dubbi
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Le 12mila firme raccolte per escludere Israele dalla prossima Biennale di Venezia: è questo il coraggio? Nutriamo dei dubbi
Quella della Biennale d’arte di Venezia è una brutta storia ma non una storia sorprendente. Figlia di un momento, di un’aria e anche di una moda che dovrebbero essere tenuti rigorosamente lontani da un luogo deputato al confronto di idee, tendenze e percorsi culturali. Dunque, al libero pensiero delle persone. Non perché sia scandaloso contestare anche duramente. Anzi, dalla notte dei tempi la contestazione è proprio fra gli ingredienti dell’arte e non di rado ha dato la stura a veri e propri capolavori letterari o delle arti espressive. Il dolore, la partecipazione al medesimo, l’urlo di protesta, l’indignazione sono molle di straordinaria potenza. Non staremo certo qui a fare l’elenco dei possibili e clamorosi esempi, ma basti “Guernica” di Pablo Picasso e la leggenda (fondata) che a domanda piccata di un ufficiale nazista nella Parigi occupata sul perché avesse dipinto un quadro così disturbante da essere un poderoso atto d’accusa egli rispose: «Badate, questo quadro lo avete dipinto voi». Episodio storico o mito, il senso resiste: se riteniamo di dover sanzionare qualcuno con il nostro pensiero e – se ne siamo capaci – la nostra arte, dobbiamo avere il coraggio di guardarlo negli occhi e invitarlo a guardare noi, ad ascoltare dalla nostra viva voce i perché di un’accusa. Figurarsi di una condanna morale. Alla Biennale, invece, ormai più di 12mila persone fra artisti, direttori, curatori, critici, studenti e semplici cittadini hanno firmato un documento online per escludere Israele dall’appuntamento in laguna. Per togliere al Paese (e non al suo governo) la possibilità di esprimersi, di essere parte di un processo inequivocabilmente democratico come quello del confronto artistico. Cosa c’è di coraggioso in questo? Cosa ci vogliono dire quelle dodicimila e rotte persone? Che un intero Paese e forse un intero popolo sono ‘colpevoli’? Possibile che a donne e uomini immersi nella produzione e nella valutazione artistica non sorga il dubbio di far così esattamente il gioco di coloro che vorrebbero mettere al bando? Imputano a Israele – invero come tanti altri – di non saper distinguere fra i terroristi di Hamas e i civili palestinesi della Striscia di Gaza, sottoposti a una repressione militare terrificante. Poi fanno esattamente la stessa cosa con gli israeliani. Anzi, gli ebrei. In laguna, si invoca un ostracismo il cui inaccettabile sottofondo è «Tu non sei degno di stare al mio fianco». A costoro, forse distratti o forse travolti da un insopprimibile desiderio di protagonismo, vorremmo ricordare che gli ebrei ci sono già passati. Che la stagione più buia e la vergogna imperitura nacquero proprio cominciando a escluderli. Anche qui da noi, in Italia. Questo non ha nulla a che vedere con un leader politico screditato e incontrollabile come Benjamin Netanyahu, al quale abbiamo riservato ogni tipo di critica possibile: questo attiene alla razionalità e alla dignità. di Fulvio Giuliani

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