Senza aspettare l’8 marzo
Non vediamo nulla per cui l’8 marzo 2024 possa essere atteso con particolare entusiasmo. È necessario fare decisamente molto di più, in ogni ambito
Senza aspettare l’8 marzo
Non vediamo nulla per cui l’8 marzo 2024 possa essere atteso con particolare entusiasmo. È necessario fare decisamente molto di più, in ogni ambito
Senza aspettare l’8 marzo
Non vediamo nulla per cui l’8 marzo 2024 possa essere atteso con particolare entusiasmo. È necessario fare decisamente molto di più, in ogni ambito
Non vediamo nulla per cui l’8 marzo 2024 possa essere atteso con particolare entusiasmo. È necessario fare decisamente molto di più, in ogni ambito
Scrivere di donne l’8 marzo è così facile da essere rischioso. Allora anticipiamo di un paio di giorni. Accingendomi a buttar giù queste righe, ho istintivamente pensato a chi potrebbe ribattere: “Perché tu, maschio, scrivi di donne, in famiglia, al lavoro, in qualsiasi contesto? Tu, maschio, non puoi capire e sei portatore di un punto di vista gravemente squilibrato”.
C’è chi lo pensa e non esclusivamente donne. Un manicheismo che spaventa, secondo il quale solo i presunti esperti di un determinato argomento (parliamone…) hanno diritto di parola, figurarsi in un ambito come questo. Come e quando ci siamo ridotti a queste paure, ad alzare questi steccati? In buona misura lo abbiamo fatto con le migliori intenzioni, per sottolineare i risultati raggiunti e i traguardi ancora da tagliare. Travolti dall’entusiasmo, però, abbiamo perso di vista la sostanza.
In tema di gender equality, ci accapigliamo su come declinare i nomi delle professioni, ma un anno dopo aver scritto più volte su questo tema non abbiamo fatto un passo in avanti nella sostanza.
Qualcuna(o) sarà soddisfatta di poter chiamare la collega “avvocata”, noi restiamo basiti davanti al numero di ragazze iscritte nei corsi universitari Stem. Il che ci sembra più importante.
Perché, mentre conduciamo le nostre belle battaglie di copertina non riusciamo a spiegare alle ragazze il valore delle opportunità? I numeri parlano chiaro: siamo indietro rispetto alla gran parte dei Paesi nostri concorrenti. Quanto a ragazze iscritte ai corsi scientifici universitari e più in generale nel numero di donne al lavoro, per tacere di chi raggiunga i vertici dirigenziali. Continuiamo a sprecare una quantità incredibile di talento femminile, anche perché manco lo mettiamo in campo.
I motivi li conosciamo bene, ma sulle soluzioni stentiamo. Molti continuano a insistere sulle leve contrattuali, di indubbio valore. Resta però impensabile scaricare il peso economico solo sul sistema delle imprese, oltretutto dimenticando l’enorme universo del lavoro autonomo.
Eccoci alla casella di partenza di questo sfiancante Monopoli: i servizi alla famiglia, alle donne. Il primo governo della nostra storia presieduto da una donna non ha potuto che fare i conti con la realtà: i soldi a disposizione sono pochi. Il problema è e resterà di qualsiasi governo: per liberare grandi risorse bisognerebbe avere il coraggio di attaccare consuetudini e privilegi che farebbero un bel po’ di male al leader politico che dovesse osare la manovra.
Siamo il Paese che non riesce ad aumentare il numero delle licenze dei taxi, pretendere di aggredire temi di questa portata appare un po’ il “vasto programma” citato con sarcasmo da De Gaulle.
Dobbiamo essere onesti, non vediamo nulla per cui l’8 marzo 2024 possa essere atteso con particolare entusiasmo. La verità è che siamo aggrappati alla voglia di cambiamento delle nostre figlie, madri, sorelle, mogli. Stanno facendo moltissimo loro e un po’ meno il sistema Paese.
di Fulvio Giuliani
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