Un numero per cominciare la settimana e ricordare gli effetti devastanti, sulla pelle delle persone, dell’aggressione russa all’Ucraina: 10 milioni. È la massa di esseri umani che, secondo le Nazioni Unite, si è messa in movimento dal 24 febbraio per fuggire alle bombe, ai missili e ai carriarmati di Vladimir Putin.
10 milioni che hanno lasciato le proprie case, i propri affetti, la propria vita e si sono messi in viaggio – ricordate i trolley intatti della famiglia sterminata a Irpin – per trovare rifugio e salvezza. Non un effetto collaterale, per quanto spaventoso, ma un obiettivo voluto e cercato da Mosca, per esercitare una pressione sempre più insostenibile sull’Ucraina e l’Occidente.
Falliti uno dopo l’altro tutti i target strategici sul terreno, l’armata russa ha messo in pratica una tattica alla cecena – piallare le città – per terrorizzare e piegare il Paese aggredito.
Prova-provata, l’ultimatum scaduto questa mattina all’alba per la resa di Mariupol, città-chiave dell’offensiva militare e politica nel sud del Paese. Un ultimatum, respinto da Kiev, seguito dalla minaccia di cancellare la città, già ridotta a un cumulo di macerie secondo le testimonianze di chi vi è rimasto intrappolato e che da una settimana vi abbiamo riportato su La Ragione nei collegamenti con l’inviato del Corriere della Sera Andrea Nicastro. Arrendersi o morire, l’allucinata sintesi della minaccia firmata Putin.
L’ondata biblica di profughi, come accennavamo, è anche una pistola puntata dritta contro di noi, un’arma impropria per destabilizzare il fronte occidentale e che ieri ha mostrato i primi effetti. La Polonia, che ha già accolto un numero impressionante di rifugiati, ha ammonito l’Unione europea che in assenza di aiuti ‘le cose potrebbero cambiare’. Una sfida nella sfida, lanciata con terribile cinismo, che l’Occidente ha l’obbligo morale e politico di riconoscere e vincere.
Lo dobbiamo a quei 10 milioni di profughi, in massima parte donne, bambini e anziani, trasformati in carne da macello da un uomo senza parola, dignità e morale.
di Fulvio Giuliani
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