Servizio di leva obbligatorio, vent’anni dall’abolizione
Il primo luglio di vent’anni fa veniva abolito il servizio di leva obbligatorio, ma ancora oggi riaffiora ciclicamente il dibattito per una sua reintroduzione. Secondo recenti sondaggi, il 47% degli italiani è favorevole al ripristino del servizio militare obbligatorio
Servizio di leva obbligatorio, vent’anni dall’abolizione
Il primo luglio di vent’anni fa veniva abolito il servizio di leva obbligatorio, ma ancora oggi riaffiora ciclicamente il dibattito per una sua reintroduzione. Secondo recenti sondaggi, il 47% degli italiani è favorevole al ripristino del servizio militare obbligatorio
Servizio di leva obbligatorio, vent’anni dall’abolizione
Il primo luglio di vent’anni fa veniva abolito il servizio di leva obbligatorio, ma ancora oggi riaffiora ciclicamente il dibattito per una sua reintroduzione. Secondo recenti sondaggi, il 47% degli italiani è favorevole al ripristino del servizio militare obbligatorio
Il primo luglio di vent’anni fa, sulla “Gazzetta Ufficiale” veniva pubblicato il testo del decreto legge 30 giugno 2005 n.115, che poneva fine al servizio di leva obbligatorio. Un passaggio epocale inizialmente previsto per il 2007, che l’allora governo Berlusconi decise invece di attuare con due anni di anticipo. Il Cavaliere sfruttò il valore simbolico del provvedimento con abile retorica, presentandolo come «l’abolizione della tassa sulla gioventù». Un messaggio forte, diretto, capace di colpire l’immaginario collettivo di un’Italia sempre più proiettata verso una società post ideologica.
Introdotto nell’immediato dopoguerra con l’articolo 52 della Costituzione, il servizio militare obbligatorio era stato approvato da un’Assemblea compatta, animata da un senso di responsabilità civica allora condiviso anche da posizioni politiche opposte. Un sentimento ben rappresentato nel cinema popolare dell’epoca, dove Peppone e Don Camillo, pur divisi da ideologie, si ritrovavano uniti sotto le note della “Canzone del Piave”.
Nel corso del tempo l’immagine del cittadino-soldato ha però perso fascino. A partire dagli anni Sessanta si è affermata una cultura pacifista, mentre l’obiezione di coscienza è divenuta diritto riconosciuto nel 1977. Il pacifismo si è intrecciato con l’avanzare della società dei consumi, in cui il desiderio di benessere e realizzazione personale ha progressivamente messo in secondo piano il concetto di “dovere verso la Patria”. Nel frattempo le Forze armate si sono evolute: la professionalizzazione dell’esercito è diventata una necessità, imposta dall’esigenza di preparazione tecnica in scenari di guerra sempre più complessi e tecnologizzati.
Eppure ancora oggi riaffiora ciclicamente il dibattito sulla reintroduzione della leva. Secondo recenti sondaggi il 47% degli italiani è favorevole al ripristino del servizio militare obbligatorio. La frattura più significativa è generazionale: gli over 35 tendono a sostenere il ritorno della naja forse proprio perché non ne sarebbero coinvolti. Mentre i giovani la respingono con decisione. Si potrebbe leggere questo dato alla luce della tendenza a idealizzare il passato come rifugio di certezze in un presente instabile. In questa chiave il ritorno della leva sarebbe più un desiderio nostalgico che una proposta realistica. Chi oggi guarda con indulgenza al servizio militare spesso dimentica le cronache di abusi, umiliazioni, ‘nonnismo’. E non tiene conto di un impianto che oggi risulta superato dai tempi.
L’idea che quei 12 mesi in tuta mimetica possano avere una funzione pedagogica si scontra con il buon senso e con l’esperienza. L’educazione dei giovani non passa dalle caserme ma dal rafforzamento della scuola pubblica, del sostegno alle famiglie, dell’inclusione sociale. La formazione civica non può essere affidata a una disciplina militare che molti non comprenderebbero e da cui si sentirebbero probabilmente alienati.
Un simile dibattito appare più come uno specchio delle nostre incertezze che come una reale proposta politica. Il mondo è cambiato e i giovani lo sanno bene: desiderano studiare, viaggiare, costruirsi un futuro. La guerra – che credevamo lontana – è tornata nel nostro orizzonte. Ma la risposta non può essere il ritorno a un’organizzazione costosa, disfunzionale e sostanzialmente inutile come la leva obbligatoria. Dovrebbe piuttosto essere concepito un maggiore investimento (anche in termini di comunicazione) su un servizio civile volontario che assicuri la difesa dei cittadini e del territorio in maniera intelligente e competente. Al tempo stesso senza pregiudicare lo sviluppo di un esercito professionale e adeguato ai tempi.
Di Stefano Faina e Silvio Napolitano
La Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
Leggi anche