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Velo

Strumento di dignità o sottomissione: cosa si cela dietro il velo islamico? – IL VIDEO

Sono mesi che un’aula scolastica dell’Istituto superiore Sandro Pertini di Monfalcone si è trasformata in un fronte di battaglia culturale dove quattro studentesse si rifiutano di togliere il Niqab. Fra religione e polemiche; i tanti tipi di velo

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Strumento di dignità o sottomissione: cosa si cela dietro il velo islamico? – IL VIDEO

Sono mesi che un’aula scolastica dell’Istituto superiore Sandro Pertini di Monfalcone si è trasformata in un fronte di battaglia culturale dove quattro studentesse si rifiutano di togliere il Niqab. Fra religione e polemiche; i tanti tipi di velo

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Strumento di dignità o sottomissione: cosa si cela dietro il velo islamico? – IL VIDEO

Sono mesi che un’aula scolastica dell’Istituto superiore Sandro Pertini di Monfalcone si è trasformata in un fronte di battaglia culturale dove quattro studentesse si rifiutano di togliere il Niqab. Fra religione e polemiche; i tanti tipi di velo

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Sono mesi che un’aula scolastica dell’Istituto superiore Sandro Pertini di Monfalcone si è trasformata in un fronte di battaglia culturale dove quattro studentesse si rifiutano di togliere il Niqab. Fra religione e polemiche; i tanti tipi di velo

Sono mesi che un’aula scolastica dell’Istituto superiore Sandro Pertini di Monfalcone si è trasformata in un fronte di battaglia culturale dove quattro studentesse si rifiutano di togliere il Niqab. L’utilizzo del velo integrale ha costretto la scuola a dedicare una stanza per implementare un sistema di identificazione prima dell’ingresso in aula. E non è tutto, perché durante l’ora di ginnastica si è reso necessario trovare attività alternative alla corsa che, come rimprovera al professore una delle adolescenti velate: “rivela troppo le forme”. Ad oggi in Italia non esiste alcuna norma che ne vieta l’utilizzo, pertanto, anche se complica la vita scolastica, i docenti hanno deciso di assecondare le loro esigenze. Rimane l’unica maniera per tutelare il loro percorso formativo, in quanto le resistenze al velo potrebbero indurle ad abbandonare gli studi. La notizia arriva da un comune di 30mila anime e poco più nella provincia sud di Gorizia, noto alle cronache per essere il comune con la più alta percentuale di popolazione musulmana in Italia. Sono perlopiù bengalesi che, in cerca di un’occupazione stabile, si sono trasferiti nel paese che ospita il cantiere navale più grande di Fincantieri. In questo laboratorio per l’integrazione, che non di rado finisce al centro del dibattito pubblico nazionale, il 33% della popolazione è di fede islamica e gli episodi di radicalizzazione estrema come questo non sono una rarità.

Nel Corano è scritto: “Dite alle donne credenti di custodire le loro parti private e di non esporre il loro ornamento, tranne quello che necessariamente deve apparire e tranne che ai loro mariti, ai loro padri, ai padri dei loro mariti, ai figli, ai figli dei loro mariti, ai fratelli, ai figli dei loro fratelli, ai figli delle loro sorelle, ai bambini che non sono ancora a conoscenza degli aspetti privati delle donne”. Non vi è alcun obbligo o divieto esplicito e l’interpretazione delle sūre è relegata alle singole comunità appartenenti alla Umma la totalità dei fedeli che include svariate culture e conta circa 2 miliardi di persone nel mondo. Il velo, che non è certo nato con l’Islam e fa parte di un antico retaggio delle culture mediterranee, per molte donne islamiche rappresenta una tradizione spirituale irrinunciabile, una sorta di “scudo” che le nobilita e le protegge dalle insidie del mondo esterno. Prime fra tutte le adulazioni degli estranei e la mercificazione del corpo e, per celare del tutto le proprie forme, va abbinato all’Abaya, un indumento lungo e largo. Il pensiero teologico comune stabilisce che le donne debbano indossarlo a partire dall’età della “consapevolezza”, compresa tra i 9 e i 15 anni quando sovente viene loro imposto dai genitori. Così, quello che agli occhi degli osservatori occidentali viene percepito come la quintessenza della sudditanza e della sottomissione della donna, per le culture islamiche costituisce l’emblema della dignità di fronte a Dio e ne esistono di diverse tipologie.

Lo Sheylah spopola nel Golfo Persico ed è una “sciarpona” rettangolare che dalla testa cade sulle spalle. Il più utilizzato dalle donne musulmane che vivono in Europa è l’Hijab, un foulard che copre i capelli e il collo adempiendo alle norme minime della velatura. L’Al-Amira è un velo a due pezzi che si compone di un berretto aderente a fasciare il capo e attorno a esso un Hijab. Il Khimar, invece, è un lungo velo che arriva fino al girovita atto a coprire la parte superiore del corpo lasciando però il viso alla luce del sole. Lo Chador, che è in vigore in Iran, si spinge ancora più in basso e copre la donna fin sotto le caviglie, lasciando però il viso scoperto. Il Niqab, diffuso in Arabia Saudita, viene utilizzato dall’Islam più radicale, è tipicamente nero, e copre tutto il corpo lasciando una fessura per gli occhi. Per ultimo, il velo più coprente, è il Burqa, diffuso in Afghanistan, spesso è di colore azzurro e copre anche gli occhi con un tessuto traforato rendendo chi lo indossa del tutto irriconoscibile.

di Angelo Annese

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