Il silenzio come rimedio a ciò che non si riesce a sopportare? Il silenzio come presa d’atto dell’inutilità della parola a spiegare fatti che annientano la nostra capacità d’essere razionali? Forse ciò che serve è solo la ricerca di un modo per chiudere fuori il mondo.
Eppure non è facile rinunciare a protestare lo stupore e lo sdegno a fronte di episodi che, come quello di Ravanusa, inducono reazioni istintive; non di smarrimento e di stupore, quanto di indignazione. Palermo: disabili segregati, sedati e picchiati; la stanza delle torture era destinata al relax; come si può tacere? Ma che dire? Quali potrebbero essere le parole davanti a tanta assurda crudeltà? Infierire contro persone che non hanno alcuna possibilità di difendersi è indice di una violenza ottusa, al di là di ogni possibilità di spiegazione razionale.
Roma, periferia Nord: una donna viene aggredita in strada a bastonate e sfregiata con l’acido; è ricoverata in ospedale in gravi. Difficile tacere a fronte dell’orrore del gesto di un uomo che, davanti a cittadini sbalorditi e impotenti, infierisce a bastonate su una donna, prima di gettarle in volto dell’acido che la sfregia. Ma quali sono le considerazioni che potrebbero esprimere adeguatamente tutto quello che suscitano episodi tanto al di là dell’umano?
Foggia: due fratellini di due e quattro anni muoiono nell’incendio della baracca nella quale vivevano; stavano dormendo quando è divampato il rogo che non ha lasciato loro scampo.
Tutto questo avviene mentre intorno luci e suoni ci raccontano della dolcezza del Natale. È vero, non si tratta solo di questi episodi; la violenza è parte della nostra esistenza; siamo assediati da ciò che costituisce la quotidiana assurdità del male. Ecco perché abbiamo bisogno di silenzio; non per rimediare ma per sfuggire al frastuono.
di Cesare Cicorella
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