Venezia, Firenze e Roma annientate dalla guerra
La parola guerra è entrata prepotentemente nelle nostra realtà ma non ne conosciamo davvero i suoni e le oscurità. Cosa accadrebbe alle nostre meravigliose città se la guerra venisse a bussare alla nostra porta.
Venezia, Firenze e Roma annientate dalla guerra
La parola guerra è entrata prepotentemente nelle nostra realtà ma non ne conosciamo davvero i suoni e le oscurità. Cosa accadrebbe alle nostre meravigliose città se la guerra venisse a bussare alla nostra porta.
Venezia, Firenze e Roma annientate dalla guerra
La parola guerra è entrata prepotentemente nelle nostra realtà ma non ne conosciamo davvero i suoni e le oscurità. Cosa accadrebbe alle nostre meravigliose città se la guerra venisse a bussare alla nostra porta.
La parola guerra è entrata prepotentemente nelle nostra realtà ma non ne conosciamo davvero i suoni e le oscurità. Cosa accadrebbe alle nostre meravigliose città se la guerra venisse a bussare alla nostra porta.
Per la maggior parte di noi, la parola “guerra” è in grado di evocare appena le sue implicazioni più tragiche. Il senso della paura e l’ansia per l’incertezza della vita che si accompagnano agli scenari di un conflitto armato in questi anni sono stati solo intuiti, per effetto di scenari che segnano realtà che appaiono sfumate ai più o forse solo per la disattenzione indotta dal bisogno di non vedere. Ben altro è il senso della guerra. I suoi suoni. Le sue oscurità. Eppure è sufficiente sorvolare oggi l’Ucraina per vedere e sapere.
Venezia, esterno notte; piazza San Marco, autunno inoltrato. Sfumano, in un accenno di nebbia, i contorni incantati di un’architettura sottratta al tempo: canali, vie d’acqua, la Basilica di San Marco. Bellezza assoluta ed eco di passi lungo i portici silenziosi mentre note di sinfonie evocano immagini di perfezione. Improvvisa, la luce accecante. Tutto si annulla. L’esplosione assordante scatena il fragore delle pietre strappate alle morbide linearità dell’arte: pochi istanti e non esiste altro che un cumulo di rovine.
Firenze, Santa Maria del Fiore nella luce di un tramonto primaverile. La città vista dall’alto è un succedersi di istantanee della genialità: Galleria degli Uffizi e i suoi tesori assoluti, Palazzo Vecchio, il ponte sull’Arno. Al cospetto del David di Michelangelo restiamo stupiti dal fatto che tanta perfezione (creata da un uomo, per l’umanità) sia stata tratta da una massa informe di marmo. Un solo brevissimo attimo, il tempo di un sospiro e tutto si dissolve in un boato che riempie di angoscia e genera il nulla: l’annientamento della bellezza.
Roma, nel trionfo dell’estate: emozioni e armonia. Contemplando la certezza della civiltà nei secoli, restiamo inebriati dall’immensità della sua storia. Sostiamo, infine, davanti al capolavoro della creazione, stupiti per l’intuizione del gesto da cui origina la vita impresso nella volta della Cappella Sistina. Ma il tempo è finito: un’istante di assoluta barbarie e resta appena l’illusione di un ricordo che la paura annichilisce.
Il senso della guerra? La perdita. Dopo c’è solo il nulla di tutto ciò che amiamo, percorrendo il Paese da Nord a Sud. Della grandezza dell’uomo rimarranno solo rovine, silenzio e rimpianti.
di Cesare CicorellaLa Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
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Tag: guerra
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