Viaggiare in era Covid
Oggi nell’era del Covid è diventato difficile viaggiare. Oltre al costo elevato dei tamponi, il problema rimane se si risulta positivi in un altro Paese. Cosa fare dunque? Non partire più?
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Oggi nell’era del Covid è diventato difficile viaggiare. Oltre al costo elevato dei tamponi, il problema rimane se si risulta positivi in un altro Paese. Cosa fare dunque? Non partire più?
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Oggi nell’era del Covid è diventato difficile viaggiare. Oltre al costo elevato dei tamponi, il problema rimane se si risulta positivi in un altro Paese. Cosa fare dunque? Non partire più?
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Oggi nell’era del Covid è diventato difficile viaggiare. Oltre al costo elevato dei tamponi, il problema rimane se si risulta positivi in un altro Paese. Cosa fare dunque? Non partire più?
In era Covid ogni certezza è perduta. A prescindere da disquisizioni teoriche sul metodo con il quale potrebbe essere più ragionevole affrontare la pandemia – astraendosi da più o meno significative riflessioni sulle sue implicazioni esistenziali, sociali, economiche, sanitarie, etiche e chi più ne ha più ne metta – sono gli aspetti più elementari del vivere a risultare profondamente alterati da questa anomalia epocale.
Partire per un viaggio all’estero, ad esempio. Non necessariamente di piacere. Fino a due anni fa si trattava di una decisione che si poteva assumere senza alcuna particolare complicazione. Era sufficiente organizzare la partenza (in aereo, treno o altro), preparare un bagaglio, prenotare un albergo: adempimenti ai quali non era necessario dedicare particolari attenzioni. Oggi? Superate le non marginali difficoltà connesse alle operatività organizzative – elencare le quali è obiettivamente stressante – si pone una necessità, che diviene assolutamente assorbente: l’esecuzione del ‘tampone’, la verifica dell’assenza di virus, necessaria per poter viaggiare in sicurezza. Che si affronta, comunque, con una vaga sensazione di incertezza, un timore non definito che si insinua nella mente, procurando ansie che stentiamo a mettere a fuoco.
Pochi minuti dopo, l’esito. Se positivo, fine del viaggio. Tutto viene azzerato: non si può partire e mestamente – soprattutto se non si fruisce di copertura assicurativa – ci si assoggetta all’obbligo di quarantena; e cara grazia se si è e si rimane asintomatici. Se negativo? Lo scenario che si determina non è meno destabilizzante; solo ora, infatti, iniziamo a realizzare quale sarà il pensiero che ci accompagnerà per tutta la durata del viaggio: il ‘tampone’ al rientro. Una forma diversa della stessa ansia; accentuata, invero: se fosse positivo che accadrebbe? Dove si dovrebbe ‘scontare’ la quarantena? E il pensiero va rapidamente oltre, proponendo scenari carichi di criticità e contrattempi.
Meglio non partire, dunque? Rinunciare, in attesa di tempi meno impegnativi? Difficile la risposta: sarebbe una sorta di resa. Fino a che punto si potrebbe arrivare?
di Cesare Cicorella
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