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World Happiness Report, si può misurare la felicità?

È stato pubblicato il World Happiness Report, il rapporto mondiale sulla felicità. L’Italia è al 33esimo posto, in testa il Nord Europa. Ma sarà davvero così?

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World Happiness Report, si può misurare la felicità?

È stato pubblicato il World Happiness Report, il rapporto mondiale sulla felicità. L’Italia è al 33esimo posto, in testa il Nord Europa. Ma sarà davvero così?

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World Happiness Report, si può misurare la felicità?

È stato pubblicato il World Happiness Report, il rapporto mondiale sulla felicità. L’Italia è al 33esimo posto, in testa il Nord Europa. Ma sarà davvero così?

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È stato pubblicato il World Happiness Report, il rapporto mondiale sulla felicità. L’Italia è al 33esimo posto, in testa il Nord Europa. Ma sarà davvero così?

Da poco è stato pubblicato il “World Happiness Report”, rapporto mondiale sulla felicità da cui abbiamo appreso di vivere in un Paese davvero poco felice, relegato al 33esimo posto di una classifica che premia soprattutto il Nord Europa: al primo posto si piazza la Finlandia, seguita da Danimarca e Svizzera. Ma sarà davvero così?

Quando leggiamo queste classifiche tendiamo a fidarci a scatola chiusa e difficilmente ci soffermiamo sugli indicatori su cui sono basate. Dare una definizione di felicità non è cosa semplice, figuriamoci se può esserlo standardizzare quella stessa definizione per fini statistici.

In perfetto accordo con la consuetudine dei ricercatori di privilegiare indicatori solidi, oggettivi, che semplifichino il lavoro, quelli scelti per determinare la prevalenza della felicità nei vari Paesi sono stati: il Pil pro capite, il sostegno sociale (avere cioè una o più persone a cui chiedere aiuto in caso di necessità), l’aspettativa di vita, la salute, la libertà, la generosità e il tasso di corruzione.

Se però confrontiamo questi indicatori con quelli scelti dagli intervistati per misurare il proprio livello di felicità, scopriamo che in questa nuova classifica di oggettivo c’è ben poco: al primo posto troviamo infatti “sentire che la mia vita ha uno scopo”, seguito da “sentire che ho controllo sulla mia vita” e dalla qualità della salute mentale. Indicatori decisamente più soggettivi, che restituiscono un’idea di felicità più ancorata a concetti spirituali e filosofici che a valori numerici facilmente misurabili. Tanto che la condizione economica è all’ottavo posto e la salute fisica – qui opportunamente separata da quella mentale – addirittura all’11esimo.

Salute mentale che sembra essere la condizione necessaria alla percezione della felicità, se pensiamo che sentire di avere uno scopo nella vita e di poter avere controllo su di essa depongono a favore di un buon tono dell’umore e di un certo equilibrio psichico.

Tornando alla classifica dei Paesi più felici, a balzare all’occhio è un’altra incongruenza: nella graduatoria mondiale dei suicidi la Finlandia è al 24° posto, mentre per trovare l’Italia bisogna scorrere fino al 67esimo. Insomma, in Finlandia sarebbero molto più felici di noi ma questo non impedirebbe a molte più persone di togliersi la vita.

Va detto che in una ricerca sulla popolazione mondiale alcune forzature si rendono necessarie, soprattutto nell’ottica di appianare le differenze culturali tra i vari Paesi. Scegliere indicatori universali, oggettivi e quantificabili – come il reddito e l’aspettativa di vita – semplifica il lavoro e mette al riparo dalle insidie che porta con sé il misurare un concetto soggettivo come quello di felicità. Si fa strada però il dubbio che a essere misurato non sia tanto il livello di felicità, ma piuttosto la qualità della vita offerta da ciascun Paese.

Dunque si vive sicuramente meglio in Finlandia, dove l’equilibrio tra lavoro e vita privata è ormai raggiunto, il sistema sanitario funziona e c’è poca corruzione. Ma non è detto che sia proprio in Finlandia che le persone sono più felici. Posto che difficilmente ci troveremo mai tutti d’accordo nel definire cosa sia (o non sia) la felicità.

di Maruska Albertazzi

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