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Atlas UFO Robot, Robottoni contro alieni

La scritta “Atlas UFO Robot” campeggiava sulla copertina di un documento per addetti ai lavori e pare che la prima parola fu scambiata per una parte del titolo

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C’erano una volta gli Ufo, gli Unidentified Flying Object che compongono probabilmente l’acronimo più famoso inventato nel 1952 dalle Forze aeree statunitensi. Nato per indicare quello che i militari non riuscivano a identificare con sicurezza nei cieli, quindi paradossalmente anche un aereo che rifiuta di rispondere alle chiamate radio, il termine Ufo è diventato presto un sinonimo di extraterrestre. Ne è nata persino una disciplina – l’ufologia – assai controversa perché spesso legata a forme di credenza popolare più vicine al complottismo che all’hobbistica. Adesso gli è preferita la sigla Uap (Unidentified Aerial Phenomena), ma il fascino dell’originale Ufo non ha perso smalto grazie anche ad alcune incursioni pop.

Nel 1971 fu la serie televisiva britannica “UFO” del prolifico Gerry Anderson a cementare le incursioni aliene nell’immaginario mondiale, portando una vera e propria febbre dell’Ufo pochi anni dopo anche in Giappone. Una suggestione intercettata dal mangaka (fumettista) Go Nagai, che era alla ricerca di nuovi contesti per i suoi cartoni animati di ‘robottoni’. L’autore aveva ideato già quattro serie anime (il vocabolo giapponese per i prodotti d’animazione) per due costrutti differenti, Mazinga e Getter Robot, quando decise di assegnare al suo ultimo colossale mecha la possibilità di diventare un disco volante.

Nei suoi piani questa nuova opera sarebbe dovuta essere un seguito della serie dei Mazinga, stavolta divenuti addirittura un Dio Mazinga, ma i giocattoli ispirati al mecha avevano già iniziato a rimanere invenduti sugli scaffali. Il pubblico nipponico voleva qualcosa di nuovo e aveva mostrato un grande interesse per un altro mediometraggio di mezz’ora, creato da Nagai e intitolato “La grande battaglia dei dischi volanti”. Così i nemici non sarebbero più stati scienziati malvagi e antiche civiltà terrestri, ma alieni e mostri galattici. E per combatterli sarebbe giunto un altro alieno, il principe Duke Fleed, a bordo di un’astronave-robot colossale il cui nome avrebbe soddisfatto certamente tutta la comunità ufologica giapponese: “UFO Robot Grendizer”.

Tuttavia in Italia non divenne noto con questo nome. La Rai ne acquisì i diritti dalla francese Pictural Films a cavallo tra il 1977 e il 1978, visionando un libro-atlante che presentava i dettagli della serie giapponese. La scritta “Atlas UFO Robot” campeggiava sulla copertina di questo documento per addetti ai lavori e pare che la prima parola fu scambiata per una parte del titolo e non per il nome del tipo di documento, anche se potrebbe essere stata una scelta deliberata quella di affiancare il nome del titano greco che regge il mondo sulle sue spalle al primo colossale robot giapponese destinato a ‘invadere’ gli schermi televisivi italiani.

Se “UFO Robot Grendizer” era nato dalla necessità di sorprendere il pubblico del Giappone con qualcosa di nuovo, per gli italiani della fine degli anni Settanta – che, al contrario dei nipponici, erano totalmente estranei ai ‘robottoni’ – fu una sorta di rivoluzione culturale. Nonostante i passi in avanti compiuti dall’industria dell’animazione, è infatti ancora avvertibile l’ambizione con cui Nagai rappresentò l’invasione aliena come una sorta di kolossal a puntate capace di segnare la strada per tanti altri anime successivi. Un cerchio ora simbolicamente chiuso dalla realizzazione di un reboot, “Grendizer U”, che presenta al pubblico del 2024 una nuova versione delle avventure di Duke Fleed. Se lo shock culturale del 1978 è ormai irripetibile, le ‘operazioni nostalgia’ di questo tipo sono sempre un’occasione interessante per comparare il passato col presente: magari stavolta in Italia lo chiameremo “Atlas UAP Robot”.

di Camillo Bosco

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