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Gianni De Luca e il dinamismo nel fumetto

La closure, lo spazio che si trova fra le vignette di un fumetto, è uno strumento narrativo spesso evidente ma talvolta usato anche implicitamente. L’esempio di Gianni De Luca

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La closure, ovvero lo spazio che si trova fra le vignette di un fumetto, è uno strumento narrativo spesso evidente, ma talvolta può essere usato anche implicitamente. In questi casi la distanza temporale o spaziale tra due scene non viene espressa da un tratto che le rinchiude in riquadri differenti, lasciando ai lettori il compito di capire come scandire i tempi narrativi della pagina. La maggiore sfida rappresentata da questa soluzione ha portato i fumettisti a preferire puntualmente le forme esplicite di closure, tranne che in progetti sperimentali o nel caso di qualche matita più autoriale che ha scelto di adottare questo stile per creare fumetti peculiari e straordinari. Come nel caso di Gianni De Luca.

Nato a Gagliato (Catanzaro) nel 1927, Fortunato De Luca detto Gianni si trasferisce presto a Roma con la famiglia, dove può frequentare il Liceo artistico statale “Via di Ripetta” e in seguito la Facoltà di Architettura, che però abbandona perché già impegnato a pubblicare sulle riviste fumettistiche. L’ambiente editoriale sta infatti tornando a prosperare con la pace portata dagli Alleati, dopo le censure del fascismo che aveva individuato nel fumetto un mezzo di corruzione della gioventù (soprattutto agli occhi del gerarca Ezio Maria Gray).

In questa nuova atmosfera la carriera di Gianni De Luca prende un avvio deciso grazie alla sua collaborazione con la rivista “Il Vittorioso” (sulla quale compaiono anche i disegni di Benito Jacovitti), dove realizza illustrazioni di corredo agli articoli e storie a fumetti. Il suo tratto netto e delicato e la sua affidabilità lo rendono presto tanto richiesto che nel 1953 la sua mano prolifica inizia a disegnare avventure anche per “Il Giornalino”, allargando dunque le sue pubblicazioni alla quasi totalità delle riviste fumettistiche di ambito cattolico. Negli anni Sessanta De Luca si dedica invece prevalentemente all’illustrazione e il ritorno da questa apnea dal fumetto si concretizza con la creazione di uno dei suoi personaggi più famosi, il Commissario Spada, nelle cui indagini impiega soluzioni molto innovative sotto il profilo grafico.

Il vero capolavoro arriva però nel 1975 con la sua trilogia shakespeariana: un ciclo di adattamenti fumettistici delle tragedie di “Amleto”, “La tempesta” e “Romeo e Giulietta” dove l’eterodossia dello storytelling di De Luca raggiunge il suo culmine. I personaggi dei tre drammi si muovono infatti come fotogrammi di una pellicola cinematografica nello spazio della tavola fumettistica, rappresentando spesso una sequenza di momenti immediatamente successivi senza l’ausilio della separazione in vignette. A primo impatto i personaggi nella pagina appaiono quindi quasi come i frattali di un caleidoscopio, anche se le sequenze sono immediatamente comprensibili. Se l’impatto grafico è straniante, la percezione finale è quella di assistere alla rappresentazione fedele di una pièce teatrale. Il corpo dei protagonisti si moltiplica, oscilla e recita sulla scenografia disegnata da De Luca senza che si rompa la continuità della storia. Un esperimento di narrazione sequenziale implicita riuscito alla perfezione per ben tre libri, ma che sfortunatamente non ha trovato un erede nelle generazioni successive.

di Camillo Bosco

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