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Enki Bilal

La fantascienza alienante di Enki Bilal

Le persecuzioni titine dietro la creazione di un fumettista dall’immaginario franco-balcanico: Enki Bilal e il suo surrealismo alienante
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Il 25 giugno 2011 Enes Bilal (detto Enki) riceve la Legione d’onore, la più alta onorificenza di Francia. Alla consegna del riconoscimento il ministro della Cultura Frédéric Mitterrand spiega che «il mondo di Bilal è fatto di uomini malati, abitati da poteri che sono loro superiori, […] di eroi stanchi. […] La sua estetica è quella della polvere, dello sporco e della neve inquinata […] popolata dai sogni oscuri del XX secolo europeo, in regioni della nostra immaginazione dove la tenerezza è triste, lo humor è nero, ma dove la redenzione attraverso l’amore è ancora possibile». Lontana da “Star Wars” e da Isaac Asimov, la sua fantascienza ha il sapore distopico della narrativa d’anticipazione dell’Europa orientale. Bilal nasce infatti a Belgrado nel 1951 nella Jugoslavia di Tito, da padre bosniaco e madre cecoslovacca. Tuttavia la famiglia si trasferisce a Parigi, dove il papà ha studiato sartoria, perché i suoi genitori non vogliono aderire al Partito comunista titino. Profugo a dieci anni, Bilal ottiene così a sedici la cittadinanza francese, ma la fuga dal modello comunista non lo spoglia né della sua storia né del suo retaggio culturale: un mondo alternativo che riemergerà con prepotenza quando si dedicherà al fumetto. La sua carriera inizia nel 1971 grazie a un concorso del settimanale “Pilote”, famoso per ospitare le storie di Asterix. Inizialmente il suo disegno è fortemente ispirato a quello di Jean Giraud, con cui condivide il gusto per la plasticità delle forme e una certa sporcizia delle chine. Presto però l’interesse di Bilal s’indirizza verso la raffigurazione del lato più grottesco del mondo. I suoi sfondi diventano via via sempre più pesanti e solidi: il lettore, guardando le pietre di un palazzo disegnato, può persino indovinarne il peso colossale. I suoi personaggi, tutt’altro che belli e piacenti, emergono da lunghi pastrani con teste calve e colli pingui. Le donne, dai capelli scarmigliati, affascinano col loro aspetto diafano. Corpi magri, pallidi ed eburnei, comunque capaci d’una violenza estrema. Su tutto comandano poi il disordine e lo sporco, distribuiti uniformemente in ogni vignetta. Un’estetica unica nel suo genere, figlia in tutta probabilità del sedimento culturale pseudo-sovietico rimasto nell’autore anche dopo essere divenuto parigino. Una costellazione interiore così particolare che dovrà trovare un suo linguaggio originale per esprimersi appieno. La consacrazione di Bilal presso il grande pubblico avviene infatti con “La fiera degli immortali”, la sua prima opera completa evolutasi in seguito nella “Trilogia Nikopol”. Qui il protagonista viene posseduto dal dio egizio Horus (arrivato con la sua astronave sopra una Parigi fascista) e libererà la città dalla dittatura come effetto involontario della sua lotta contro le divinità avversarie. Una storia così anomala da far sentire straniero anche un lettore parigino, esattamente come il piccolo Bilal quando arrivò per la prima volta nella Capitale francese. di Camillo Bosco  

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