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La saga di Bone

La saga di Bone è divenuta il riferimento per qualsiasi autore voglia esprimersi al di fuori delle restrizioni dell’editoria canonica
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Jeff Smith è un bambino di appena cinque anni che gioca insieme ai cuginetti nel soggiorno di casa sua a Columbus, in Ohio, quando disegna quella che sembra una cornetta del telefono. Nel 1965 gli apparecchi americani più comuni sono di colore bianco perlato – al contrario dei “bigrigi” italiani – e al giovane Smith basta aggiungere occhi e bocca al tratteggio perché sembri un personaggio, sebbene pallido e un po’ oblungo. I suoi genitori non possono però immaginare che il loro figlio abbia appena abbozzato uno dei protagonisti dell’epopea a fumetti che lo renderà famoso: Bone. Nel resto dell’adolescenza Smith è infatti un vorace lettore di storie disegnate, in particolar modo della “Saga di Paperon de’ Paperoni” realizzata da Don Rosa. È affascinato dalla capacità di quest’autore di creare universi immaginari ed è soprattutto l’opera certosina di worldbuilding delle storie di Rosa a instillargli la voglia di leggere una vera e propria epica grafica, con il respiro dell’“Odissea” o de “Il Signore degli Anelli”.

Purtroppo per Smith il suo desiderio è destinato a rimanere inesaudito sia nella pur vasta biblioteca dei comics (legati ai format episodici), sia nei fumetti nel resto del mondo. Il problema è che gli editori temono le narrazioni continue lunghe migliaia di pagine perché non vogliono accollarsi il pericolo che l’autore, una volta ottenuto un tale spazio, non tenga fede alla parola data e abbandoni il progetto narrativo per stanchezza o noia. In realtà anche gli autori nutrono verso gli editori un’uguale e speculare “paura dell’abbandono”.

Mentre si confronta con l’inesistenza del libro a fumetti dei suoi sogni, Smith continua invece a coltivare il suo fumetto. A nove anni disegna per la prima volta il vero protagonista, chiamato Fone Bone in onore del cognome Fonebone con cui Don Martin spesso battezzava i comprimari delle sue popolari strisce per “Mad”. La forma è sempre quella tondeggiante del ricevitore telefonico, ma adesso Fone è basso e il tratto ricorda da vicino quello del Pogo di Walt Kelly.

Il design rimane comunque nel cassetto fino all’università, quando Smith pubblica una striscia con Fone Bone sul giornale del campus. Il tentativo di passare dal “The Lantern” dell’Ohio State University a una pubblicazione a larga diffusione tuttavia fallisce quando gli editor dei giornali “The King” e “Tribune” cercano di stravolgerne le caratteristiche, lasciando Smith disilluso sulla sua libertà creativa. Apre allora lui stesso una società di animazione per lavorare su sigle, pubblicità o come disegnatore freelance per i grandi progetti degli studios, ma anche qui si scopre demotivato nel lavorare su idee altrui.

Nel 1991 Smith decide quindi di tentare il tutto per tutto. Ispirato dal successo dei fumetti “Maus” e “Watchmen”, apre la sua casa editrice col nome di Cartoon Books per dare alle stampe la versione definitiva del suo “Bone”. Una scelta spericolata in cui coinvolge anche la moglie Vijaya Iyer (che lascia un lucrativo lavoro nella Silicon Valley pur di aiutarlo), ma che viene premiata dai lettori. Conclusasi nel 2006 e lunga più di 1.300 pagine, la saga di Bone è così divenuta il riferimento per qualsiasi autore voglia esprimersi al di fuori delle restrizioni dell’editoria canonica.

di Camillo Bosco

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