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Sergio Toppi

La sfida di Sergio Toppi, tra fumetto e illustrazione

L’affermazione dell’opera di Sergio Toppi  ha così dimostrato la potenzialità della comunicazione per immagini
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Quella di Sergio Toppi è una carriera iniziata altrove. Orfano di padre, cerca dapprima di diventare dentista per poter sostenere la madre Vittoria Castelfranchi, che nel mentre si è trovata da vivere in una piccola casa editrice di libri d’arte. L’esame di chimica si dimostra tuttavia un classico cul-de-sac da studente iscritto per dovere e non per vocazione. Fra un tentativo e un altro – tutti falliti – Toppi sta quindi meditando di passare a Lettere, quando decide di partecipare a un concorso di pittura. È la sua prima incoronazione, unanime e fortunata: nel circolo studentesco che ha organizzato l’evento incontra anche la sua futura moglie, Aldina Monesi.

Abortita la carriera odontoiatrica, mamma Vittoria tira allora qualche fune fra i colleghi editori per mettere a frutto quello che pare essere il vero talento del figlio. Così nel 1953 il giovane Toppi illustra per Mondadori alcune voci della nuova “Enciclopedia dei Ragazzi”, bissando due anni dopo con un simile progetto editoriale della Garzanti. A un certo punto gli capita persino di prestarsi come vignettista per “Il Candido”, il giornale satirico di Giovannino Guareschi. Qui lo nota Cassio Morosetti, che lo fa entrare nella sua agenzia Disegnatori Riuniti aprendogli un ventaglio di collaborazioni di alto profilo e ben remunerate. Nel frattempo è anche riuscito a farsi assumere allo Studio Pagot dove lavora su Calimero e altri personaggi di “Carosello”. Il rapporto di Toppi con la televisione si ripete quando il “Corriere dei Piccoli” lo coinvolge nei fumetti basati sul Mago Zurlì dello Zecchino d’Oro, ma è con Mino Milani che nel 1969 realizza il suo primo fumetto non derivativo disegnando – sempre per il “Corrierino” – la storia di Pietro Micca. A questo punto ha maturato più di un decennio di esperienza come illustratore: l’incontro e la conseguente amicizia con Dino Battaglia, l’autore che gli aveva fatto riscoprire il fumetto, lo convincono ad approcciarsi al medium con un taglio personale.

Se nella riduzione dell’eroe torinese questo intento è ancora difficile da captare, già nella seconda storia (“La caduta di Costantinopoli”) le vignette assumono spesso un carattere per così dire illustrativo. Un lieve scollamento fra la narrazione e l’immagine diviene così presto la caratteristica peculiare del suo metodo comunicativo, in bilico fra biforcazione e risonanza. Come un’elica di Dna, il disegno si allontana e si avvicina al testo come se in tal modo volesse imprimere un ritmo capace di catturare l’attenzione del lettore. Vignetta dopo vignetta le elaborazioni grafiche sempre più complesse di Toppi sfidano allo straniamento, aumentando la portata fantastica delle avventure che tratteggiano. Una comunicazione a sottrazione, che elide spesso la necessità di paesaggi e dinamismo. Una gestalt in cui le decorazioni possono rappresentare alienazione così come coinvolgimento, mentre alle vignette tracciate è spesso preferito un labirinto di collegamenti impliciti.

L’affermazione dell’opera di Toppi – apprezzatissima in Italia come in Francia e negli Stati Uniti – ha così dimostrato la potenzialità della comunicazione per immagini giocando ad abbattere i confini fra fumetto e illustrazione.

di Camillo Bosco 

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