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L’evoluzione di Paperon de’ Paperoni

Non avremmo mai dovuto conoscere Paperon de’ Paperoni, il cui personaggio era destinato a vivere solo una storia. Poi qualcosa è cambiato
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Paperon de’ Paperoni non è famoso per la sua generosità. Il primo dialogo che pronuncia nella storia “Donald Duck’s Christmas on Bear Mountain” (“Il Natale di Paperino sul Monte Orso”), che nel dicembre del 1947 segna il suo esordio come personaggio, è illuminante: «Eccomi qui seduto in questa stamberga grande e solitaria, aspettando che passi il Natale! Bah! Che stupida stagione in cui tutti si vogliono bene! Al diavolo! Quanto a me – sono diverso, io! Tutti mi odiano e io odio tutti!». Nient’altro che un clamoroso misantropo, il cui aspetto non fa che confermare la pessima impressione suscitata dai suoi commenti. Avvolto in una palandrana azzurra con una vistosa gorgera dorata, appare sprofondato in una poltrona al centro di una stanza di una ricca dimora su cui campeggia il ritratto dell’amore della sua vita (sacchi di dollari). Il mero pensiero delle smancerie di Natale lo infastidisce così tanto da fargli serrare i pugni, arricciare il becco e incassare la testa fra le scapole finché le sue ispide basette – premute contro le clavicole – si trasformano in una criniera ferina. Se può sembrare una presentazione esagerata è soltanto perché il nome italiano trae in inganno. Paperone è stato chiamato così nel nostro Paese in quanto zio di Paolino Paperino (Donald Fauntleroy Duck, in originale) ma il vero nome dello “zione” è Scrooge McDuck. Proprio lo stesso nomen omen del taccagno Ebenezer Scrooge, il protagonista del “Cantico di Natale” di Charles Dickens. Una citazione diretta e molto chiara del capolavoro inglese che si unisce a un rimando, come tono e temi, all’amareggiato Charles Foster Kane rinchiuso nella sua principesca e solitaria magione di Xanadu nel film “Citizen Kane” (“Quarto potere”) di Orson Welles, uscito sei anni prima nelle sale. Anche se il proposito del suo ideatore Carlo Abbai (scusate, Carl Barks) era quello di impiegarlo per appena una storia – dandogli una caratterizzazione un po’ grossolana (cognome scozzese per sottolinearne la tirchieria, atteggiamento da anziano bisbetico) senza velleità di farne un personaggio ricorrente – il personaggio fa però breccia nei lettori e lo stesso autore ci si affeziona. Così Barks modifica via via Paperone arricchendolo di caratteristiche legate in particolar modo al suo denaro. Da semplice “zio ricco” già l’anno dopo diventa infatti il «papero più ricco del mondo» per poi possedere un deposito con «tre acri cubici di denaro», finché il nipote non ammetterà che suo zio possiede mezza Duckburg (Paperopoli). In questa progressiva costruzione del personaggio, passata per diversi autori per volontà della Disney (che ne deteneva il copyright), si introdurrà nel 1992 il fumettista Don Rosa con la sua “Saga di Paperon de’ Paperoni”. Una vera e propria biografia a fumetti dedicata a Paperone (con tanto di puntuali riferimenti cronologici), tanto dettagliata e attenta da risultare una sorta di evoluzione parallela del personaggio disneyano non riconosciuta nel canone delle storie pubblicate sul settimanale “Topolino”. Ancora oggi Paperone si caratterizza pertanto come un personaggio fumettistico complesso, la cui lettura dovrebbe essere contestualizzata e non invece sottoposta a modifiche e censure che fraintendono lo spirito dei suoi autori. Di Camillo Bosco

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