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Fabio Santini racconta il mito di Sergio Leone

Quando si parla di Sergio Leone la mente va subito alla rivoluzione che ha portato nel cinema, e quando si parla di cinema la mente vola, volentieri, al Lido di Venezia. Qui, il direttore Fulvio Giuliani ha intervistato il giornalista Fabio Santini, tra i più grandi cultori del regista romano.

Fabio Santini racconta il mito di Sergio Leone

Quando si parla di Sergio Leone la mente va subito alla rivoluzione che ha portato nel cinema, e quando si parla di cinema la mente vola, volentieri, al Lido di Venezia. Qui, il direttore Fulvio Giuliani ha intervistato il giornalista Fabio Santini, tra i più grandi cultori del regista romano.

Fabio Santini racconta il mito di Sergio Leone

Quando si parla di Sergio Leone la mente va subito alla rivoluzione che ha portato nel cinema, e quando si parla di cinema la mente vola, volentieri, al Lido di Venezia. Qui, il direttore Fulvio Giuliani ha intervistato il giornalista Fabio Santini, tra i più grandi cultori del regista romano.

Quando si parla di Sergio Leone la mente va subito alla rivoluzione che ha portato nel cinema, e quando si parla di cinema la mente vola, volentieri, al Lido di Venezia. Qui, il direttore Fulvio Giuliani ha intervistato il giornalista Fabio Santini, tra i più grandi cultori del regista romano.

In questo articolo riportiamo i passaggi più curiosi dell’intervento nel nostro spazio presso Fondazione Ente dello Spettacolo. “Il Lido di Venezia è un posto emblematico per raccontare Sergio Leone, ancora di più nei giorni del Festival del Cinema. Proprio a pochi metri da noi, davanti al molo della spiaggia privata dell’Hotel Excelsior sono state registrate alcune esterne di «C’era una volta in America». Essere qui non può che essere una grandissima emozione”, racconta Santini. “Per me Sergio Leone è stato il più grande regista di sempre. Mi piace iniziare il racconto della sua carriera partendo da «Ben-Hur» del 1959, pellicola storica capace di vincere 11 Premi Oscar. Il codice è sempre quello dello stupore e per di più, anche se in pochi lo sanno, la celeberrima scena della «Corsa delle brighe» è stata girata dal regista romano. L’inizio della sua carriera è abbastanza singolare: quando la produzione delegò il regista William Wyler di girare questa scena, lui reagì in maniera molto stizzita. Avrebbe voluto molti più soldi di quelli previsti dal contratto. Così Wyler chiamò Mario Soldati, direttore della seconda unità di produzione, chiedendogli di girare quella scena. E Soldati rispose: «Guarda, ho un ragazzo che va pazzo per la storia e la mitologia romana. Si chiama Sergio Leone, è un giovane che vive di cinema, ha anche debuttato con una piccola parte, quella di un prete, in «Ladri di biciclette» accanto a Vittorio De Sica. «Va bene, falla girare a lui», rispose il regista, ignaro che stava per dare inizio a una carriera leggendaria. I giorni di produzione previsti per quella scena erano 14. Sergio Leone la girò in 3 mesi e mezzo. Dimostrò sin da subito di essere un minuzioso ricercatore dei dettagli, di ogni possibile situazione di ripresa. I suoi primi piani appartengono alla storia del cinema tanto che persino Quentin Tarantino dice sempre al suo macchinista: «Please, give me a Sergio Leone», proprio per indicare i primi piani tipici del regista romano. Non aveva un carattere facile Sergio Leone, tanto che ha avuto contrasti persino con Clint Eastwood, attore considerato di seconda lega in America, portato alla fama internazionale dal regista romano. “La pace tra i due venne stabilita solo nel 1988 quando Clint portò a casa di Sergio la copia del suo capolavoro «Bird», film dedicato alla vita e alla storia di Charlie Parker. I due videro la pellicola in anteprima, insieme. Alla fine del film, il regista romano abbracciò il suo pupillo, ormai collega: «Non pensavo che saresti diventato un regista così bravo». Con queste parole, le fastidiose frizioni tra i due si sciolsero e rimase, finalmente, solo la parte bella del rapporto”. Ma carattere particolare può anche significare straordinarietà, intuizione, genio. D’altronde, la sua realtà era così “sé stesso, il cinema, il resto della vita. In un volo tra Roma e Mosca, Leone si assopisce e la macchina della sua memoria gli fa vedere flash di alcuni film che erano «L’uomo che uccise Liberty Valance» e «Mezzogiorno di Fuoco». In quest’ultimo film c’è un attore che appare poche volte ma abbastanza per convincere Leone. È alto, con un bel portamento ai limiti del principesco, il suo nome è Livan Clif. La reazione dei produttori a questa richiesta è quasi incredula: «Tu sei pazzo! Son quattro anni che Clif se ne sta rinchiuso in una clinica per alcolisti, tu vieni qua e pretendi di averlo per il tuo film». «Voglio Livan Clif. Soltanto lui ha lo sguardo da angelo vendicatore». Parole che convincerebbero anche i più scettici dei produttori, “soprattutto perché pronunciate da un regista che riusciva sempre a riscuotere un grande successo. Un regista che ha segnato per sempre la storia del cinema”.

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