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Gioventù

Dall’1 febbraio scatta l’obbligo vaccinale per gli over 50 eppure a oggi, e a ridosso di quella data, sono ancora loro la più ampia fascia di popolazione non immunizzata contro il Covid. Stride il contrasto con i giovani. Alla faccia di chi tende a considerarli sempre a metà fra ribelli e bamboccioni, i giovani dimostrano – e non da oggi – di essere alle volte più adulti di chi lo è all’anagrafe.
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Dall’1 febbraio scatta l’obbligo vaccinale per gli over 50 eppure a oggi, e a ridosso di quella data, sono ancora loro la più ampia fascia di popolazione non immunizzata contro il Covid. Parliamo di un milione e 800mila persone circa, e nel loro caso altro non si può dire se non che si tratti di una scelta. In numeri, si tratta dell’8% di ultracinquantenni che non hanno fatto neanche la prima dose.

Stride il contrasto con i giovani: i ventenni non vaccinati sono il 6%, ma per loro la campagna è partita molto più tardi e quindi è evidente che l’immunizzazione sia stata assai più rapida. E le differenze sostanziali sono più di una: ricordiamoci che il rischio di sviluppare la malattia in forma grave è nettamente inferiore in fasce d’età più basse. C’è poi proprio una diversità nell’approccio: gli adolescenti non sono così spaccati come gli adulti sulla questione vaccinale, non si mettono a discutere più di tanto sul tema. A loro interessa poter tornare a vivere in un modo quasi normale, e come non capirli visto che naturalmente sono stati coloro che più hanno patito per le restrizioni di questo anno e mezzo. Ma si preoccupano anche dei loro nonni, delle persone più anziane. Insomma, vogliono tornare a divertirsi ma hanno anche un grosso senso di responsabilità. Alla faccia di chi tende a considerarli sempre a metà fra ribelli e bamboccioni, i giovani dimostrano – e non da oggi – di essere alle volte più adulti di chi lo è all’anagrafe. Sarebbe sacrosanto che si vaccinassero anche solo per uscire a cena o andare nei locali, considerato quanto è stato loro sottratto in termini di socialità da questi mesi di restrizioni.

Tra l’altro proprio in questi giorni sono stati pubblicati due studi che fanno emergere in modo evidente quanto l’emergenza abbia inciso sui più giovani: uno su quattro in Italia e nel mondo manifesta sintomi clinici di depressione, uno su cinque disturbi legati all’ansia. Il tutto generato naturalmente dal non vedere una via d’uscita da questo tunnel. È quindi facile comprendere perché invece vadano a vaccinarsi con tanta convinzione: sono consapevoli che quella sia l’unica strada per immaginare un futuro senza mascherine, Dad e discoteche chiuse. Non hanno neanche quella voglia di ribellione che invece pare dilagare fra gli over 50, almeno quelli che in virtù del no al vaccino sono pronti a perdere lo stipendio.

È un po’ come se si fossero ribaltati i ruoli: in modo diverso era accaduto anche nei primi terribili mesi pandemici, quando davanti a una malattia di cui quasi nulla si sapeva era scattato in tantissimi giovani il senso di protezione nei confronti di genitori e nonni ben più fragili di fronte al virus. È fondamentale che questo non venga dimenticato. Anche quando ci ritroviamo a parlare di baby gang, di gruppi di ragazzini allo sbando che terrorizzano le città. Perché c’è tutto, il buono e il cattivo, in questa generazione immersa in una realtà complicata da vivere già per chi ha parecchi anni in più, figuriamoci per chi si affaccia ora al mondo adulto. Li chiamiamo giovani perché questo sono all’anagrafe ma si dimostrano maturi. Sarebbe bello immaginare un dialogo fra un ragazzo vaccinato e un cinquantenne no-vax. Ascoltarli, questi ventenni, sempre e soprattutto in questo momento, può arricchire anche chi ritiene di poter dare lezioni su quel che non conosce.

 

Di Annalisa Grandi

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