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Sicurezza e regolarità non aprono le keybox

Le keybox rappresentano l’emblema dell’overtourism in cui tutto è affidato, di fatto, al fai da te

Capita di vederle un po’ ovunque: appiccicate ai citofoni d’ottone, sui muri portanti all’ingresso delle strutture, attaccate alle facciate dei palazzi, affisse sui pali della luce, persino (fino a lasciare i segni) su edifici storici delle città italiane. Le keybox rappresentano l’emblema dell’overtourism: grazie a queste scatole-lucchetto che contengono le chiavi, i proprietari possono mettere in affitto le case (anche per una sola notte) ed evitare di presentarsi di fronte ai turisti per accoglierli e registrarli. Tutto, insomma, è affidato al fai da te.

Parigi, Nizza, Lille e altre città francesi le hanno già vietate. A New York chi utilizza le keybox rischia di incorrere in multe salate. Da noi a fare da apripista è stata Firenze, con il sindaco Sara Funaro che qualche giorno fa ha annunciato che dal 2025 saranno bandite in tutta la città. Ora, dopo che il tema è approdato anche al G7 Turismo, una circolare del capo della Polizia Vittorio Pisani, indirizzata a tutte le Prefetture, ha dichiarato l’illegalità delle ‘scatolette’. Contravvengono all’articolo 109 del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (Tulps).

Ma come funzionava finora? I più onesti identificavano da remoto gli ospiti, facendosi inviare via mail le copie dei documenti per la registrazione (e solo successivamente ‘sbloccavano’ la scatola porta-chiavi per l’accesso alla struttura); gli altri, neanche a dirlo, non registravano alcun ospite e con il metodo del self check-in, senza farsi neppure vedere, consentivano il pernottamento a casa e incassavano, salvo poi ricorrere – per le formalità burocratiche – alla nota formula del “chi s’è visto s’è visto”. Ma anche la trasmissione dei documenti online viene dichiarata illegittima, perché l’identificazione personale della clientela non è garantita (in altri termini, non si può verificare che il documento corrisponda al portatore).

Inutile dire che c’è chi ha parlato di una mossa ‘illiberale’ – invocando il diritto alla proprietà privata – ma il solo possesso di una casa (o di una stanza da mettere a reddito) non dà in automatico la possibilità di non essere soggetti a regole, così come l’essere in possesso di un’automobile non solleva il proprietario dall’obbligo di parcheggiarla negli appositi stalli. Insomma, l’identificazione dei turisti che cambiano città, anche in via temporanea, è una questione seria. Ed è soprattutto una forma di sicurezza a tutela di tutti: sia che si risieda in una città, sia che vi si trovi da vacanzieri.

Tant’è che, in queste ore, a esultare sono gli stessi rappresentanti della categoria (non tutti, per la verità), che in quelle keybox vedevano il combustibile per alimentare un turismo insostenibile (portando alcuni residenti alla resa, come a Firenze, dove in 4mila hanno abbandonato il centro storico per trasferirsi in periferia, spinti proprio dal disagio della pressione turistica) o, nel peggiore dei casi, attività irregolari. L’Italia è prossima al Giubileo, che si stima porterà nella Capitale 35 milioni di fedeli da tutto il mondo. A giovare di queste nuove regole sarà chi ha sempre lavorato correttamente. E continuerà a farlo, perché l’aumento di offerta (con più strutture che rispettino le norme), a fronte di una richiesta che cresce, è unicamente un valore. Essere soggetti (tutti) alle stesse regole è buon senso.

di Enrico Galletti

Italia, turismo

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