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Il caos nei cieli di Kyïv è pari solo al caos tra le fila russe

Mezzo miliardo di dollari per bombardare l’Ucraina

Il caos nei cieli di Kyïv è pari solo al caos tra le fila russe: se la flotta galleggia ancora a fatica, il comando militare russo è pronto ad affondare.
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Mezzo miliardo di dollari per bombardare l’Ucraina

Il caos nei cieli di Kyïv è pari solo al caos tra le fila russe: se la flotta galleggia ancora a fatica, il comando militare russo è pronto ad affondare.
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Mezzo miliardo di dollari per bombardare l’Ucraina

Il caos nei cieli di Kyïv è pari solo al caos tra le fila russe: se la flotta galleggia ancora a fatica, il comando militare russo è pronto ad affondare.
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Il caos nei cieli di Kyïv è pari solo al caos tra le fila russe: se la flotta galleggia ancora a fatica, il comando militare russo è pronto ad affondare.
Mezzo miliardo di dollari. Tanto valevano i missili che ieri mattina il criminale Putin ha fatto piovere sul Paese dei Girasoli. Mentre questo patrimonio deflagrava in Ucraina i canali sotterranei della russa Volgograd sono esondati e hanno riempito di liquami i quartieri della città. Forse qualche milione avrebbe potuto essere speso meglio in patria per prevenire questo tipo di problemi, ma si sa che le armi provengono da un diverso tipo di fogna. Malgrado quarantaquattro abbattimenti confermati da parte dell’antiaerea giallazzurra – con un exploit positivo delle batterie Iris-T donate dalla Germania – sulle città ucraine si sono schiantati abbastanza ordigni da provocare danni e alcune voci additano i droni iraniani come i principali colpevoli. Così sono state colpite diverse infrastrutture per la produzione di energia e di acqua potabile lungo il fiume Nipro, lasciando senza energia e acqua corrente buona parte di Kyïv. Se dapprima il Cremlino rivendicava di colpire solo bersagli militari, ora ammette franco di essere alla caccia della rete elettrica ucraina, nel tentativo terroristico di piegare una popolazione sotto lo scacco del gelo e del buio. Divenute un appuntamento fisso del lunedì in questa guerra, tali copiose salve stanno esigendo un tributo pesante nonostante gli sforzi valenti dei tecnici giallazzurri. Per tramite del vice primo ministro Iryna Vereščuk, il governo Zelens’kyj è persino giunto a invitare i profughi ad attendere la prossima primavera per rientrare in patria. Sebbene l’uso scriteriato delle ultime riserve di missili balistici stia sortendo un qualche effetto, tuttavia la strategia di Mosca non allevia i guai delle Z truppen. Il porto di Sebastopoli, sede della flotta russa del Mar Nero, è stato attaccato da velivoli e navi drone in una riedizione della Beffa di Buccari i cui autori non solcavano le onde ma agivano tramite un collegamento satellitare. La fregata Makarov, già data erroneamente per affondata e ammiraglia ereditiera della fu Moskva, è stata colpita durante un goffo e tardivo tentativo di lasciare il suo molo. Gli elicotteri russi si sono dimostrati incapaci di fermare la corsa dei sette natanti kamikaze ucraini e almeno quattro navi sono state colpite. Oltre la Makarov, resa ‘cieca’ da un danno importante al suo radar, contiamo una dragamine e una nave da sbarco e forse un pezzo speciale: una nave dedicata alla guerra elettronica, essenziale per il puntamento dei missili balistici Kalibr. Ne avremo quindi una conferma indiretta se in futuro diminuirà il loro lancio. Se la flotta galleggia ancora a fatica, è invece il comando militare dell’armata russa ad affondare. Dopo i siluri comunicativi lanciati dal dittatore ceceno Kadyrov le tre stelle del colonnello generale Aleksandr Lapin si sono eclissate. La rimozione di questo ennesimo comandante in capo, stavolta del settore di Luhans’k, non è però una novità. Già almeno dieci suoi colleghi hanno trovato la morte sul campo di battaglia, mentre il carosello dei rimossi e dei defenestrati ha raggiunto un volume inaudito nella ricerca spasmodica dei necessari capri espiatori per i numerosi fallimenti della “Operazione militare speciale”. Dimostrando come, da Volgograd all’Ucraina, i russi siano in mano a nessuno.   di Camillo Bosco

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