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Quando da Primavalle partì la protesta contro l’eroina

Nel novembre del 1981, a Roma, nove madri si chiusero in una palestra con i figli tossicodipendenti. Quelle “madri coraggio”, con la loro protesta, rappresentarono uno spartiacque: sensibilizzarono l’opinione pubblica sull’assenza di politiche di contrasto alle droghe e di strutture per la disintossicazione.
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Quando da Primavalle partì la protesta contro l’eroina

Nel novembre del 1981, a Roma, nove madri si chiusero in una palestra con i figli tossicodipendenti. Quelle “madri coraggio”, con la loro protesta, rappresentarono uno spartiacque: sensibilizzarono l’opinione pubblica sull’assenza di politiche di contrasto alle droghe e di strutture per la disintossicazione.
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Quando da Primavalle partì la protesta contro l’eroina

Nel novembre del 1981, a Roma, nove madri si chiusero in una palestra con i figli tossicodipendenti. Quelle “madri coraggio”, con la loro protesta, rappresentarono uno spartiacque: sensibilizzarono l’opinione pubblica sull’assenza di politiche di contrasto alle droghe e di strutture per la disintossicazione.
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Nel novembre del 1981, a Roma, nove madri si chiusero in una palestra con i figli tossicodipendenti. Quelle “madri coraggio”, con la loro protesta, rappresentarono uno spartiacque: sensibilizzarono l’opinione pubblica sull’assenza di politiche di contrasto alle droghe e di strutture per la disintossicazione.
A Roma, nel novembre 1981, nove madri con i figli tossicodipendenti occuparono una palestra. Un medico si prese la responsabilità di disintossicarli con placebo e camomille. Un pomeriggio Giovanni Paolo II, in visita a Primavalle, vide una donna che, scavalcate le transenne ed elusa la sicurezza, chiedeva aiuto. Era una delle ‘madri coraggio’ che – gridando «Basta con l’eroina, vogliamo una comunità terapeutica!» – dette inizio a una nuova politica sulle droghe. Per due mesi la polizia vigilò senza intervenire, i genitori presidiavano giorno e notte. Il padiglione era freddo, i ragazzi dormivano su brande, sacchi a pelo e materassi a terra; di giorno si esercitavano alle spalliere. Niente droghe, morfina e metadone, solo tisane e antidolorifici. Un giornale francese scrisse «Ora gli italiani scioperano contro l’eroina». I tossicodipendenti da 13 diventarono 23. Forte la solidarietà, l’interesse dei mass media e delle forze politiche, colte di sorpresa da un episodio senza precedenti che aveva scosso l’opinione pubblica. Il dibattito si animò fra chi appoggiava l’iniziativa (Renato Zero invitò tutti per Capodanno) e chi condannava la chiusura cui le famiglie costringevano i figli. Il 1982 a Roma fu l’anno della mobilitazione. A Ostia venne occupata una colonia, a Palombara Sabina la tenuta di un protagonista dello scandalo Lockheed. Gli episodi da locali divennero casi nazionali e la loro valenza impresse una svolta all’atteggiamento rinunciatario dei partiti. In tutti i quartieri sorsero comitati di lotta contro la droga che alzarono tende e aprirono tavoli di sensibilizzazione sociale. Un corteo con centinaia di genitori di drogati, studenti e cittadini, striscioni e cartelli rappresentò il primo momento spontaneo della battaglia contro l’eroina. Intanto le difficoltà nella palestra di Primavalle crescevano. Qualcuno era scappato, tornando a rubare e a bucarsi. Ma le madri non mollarono: volevano una comunità terapeutica protetta, prima che la noia che attanagliava i ragazzi li spingesse a tornare per strada. Il Comune di Roma, in fretta e furia, ne aprì una pubblica a Città della Pieve. Una metà del gruppo accettò l’offerta di Vincenzo Muccioli nella più organizzata San Patrignano. Un anno dopo, il funerale di Stefano Moretti – il ‘barone’, fra i primi a occupare la palestra, morto per overdose dopo la fuga da Città della Pieve – fu un evento doloroso che colpì il quartiere, gettandolo nella disperazione. Finiva anche l’impegno civile di quelle semplici ‘madri coraggio’ cui Roma e tutta l’Italia devono tanto, se la droga diventò un’emergenza nazionale e non se ne autorizzò l’uso legale. Oggi molti dei ragazzi della palestra non ci sono più, travolti dal vortice degli stupefacenti. Pochi sopravvissuti abitano ancora nel quartiere. Il ricordo sbiadisce. Restano le parole di Franco Califano, il ‘califfo’, che per invogliare i ragazzi a smettere intitolò una sua canzone “Occupate le palestre”.   di Giorgio Bartolomucci

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