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Senza partiti

Sorpresa, ma non troppo: il Parlamento riconoscerà ai suoi membri la pensione anche quando non dovessero arrivare a 4 anni, 6 mesi e un giorno di legislatura. Nessun problema quindi un’eventuale ritorno alle urne anticipato. La politica ormai è dominata da partiti nemici della democrazia, eccelsi solo nel fare avanspettacolo.
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Senza partiti

Sorpresa, ma non troppo: il Parlamento riconoscerà ai suoi membri la pensione anche quando non dovessero arrivare a 4 anni, 6 mesi e un giorno di legislatura. Nessun problema quindi un’eventuale ritorno alle urne anticipato. La politica ormai è dominata da partiti nemici della democrazia, eccelsi solo nel fare avanspettacolo.
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Sorpresa, ma non troppo: il Parlamento riconoscerà ai suoi membri la pensione anche quando non dovessero arrivare a 4 anni, 6 mesi e un giorno di legislatura. Nessun problema quindi un’eventuale ritorno alle urne anticipato. La politica ormai è dominata da partiti nemici della democrazia, eccelsi solo nel fare avanspettacolo.
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Sorpresa, ma non troppo: il Parlamento riconoscerà ai suoi membri la pensione anche quando non dovessero arrivare a 4 anni, 6 mesi e un giorno di legislatura. Nessun problema quindi un’eventuale ritorno alle urne anticipato. La politica ormai è dominata da partiti nemici della democrazia, eccelsi solo nel fare avanspettacolo.
Evviva. Sul “Corriere della Sera”, Francesco Verderami ci avverte che l’autodichia, ossia la prerogativa del Parlamento di gestire in autonomia le sue faccende, spalanca le porte alla pensione anche di chi non è arrivato ai quattro anni, sei mesi e un giorno di legislatura. Dunque le matricole possono scegliere senza affanni il nuovo capo dello Stato: anche in caso di scioglimento il vitalizio, ancorché decurtato, è salvo. Praticamente in contemporanea, Sergio Mattarella intona un doveroso peana nei riguardi delle assemblee elettive: è lì che risiede la democrazia, è lì che la libertà respira e i diritti vengono tutelati. Perfetto. Resta solo da spiegare alla metà di elettori che disertano le urne: a) come mai sono finiti nell’emiciclo personaggi tremebondi e attenti all’interesse proprio assai più che a quello generale; b) perché il livello di fiducia dei cittadini nei riguardi del Parlamento è precipitato sotto zero. Una spiegazione possibile è che la colpa sia dei partiti politici che hanno abdicato alla loro funzione di collettori delle richieste dei cittadini per trasformarsi in taxi che accolgono non i più adeguati bensì gli amici del Capo, visto che agli italiani è da decenni impedito di scegliersi i propri rappresentanti. Non solo. I partiti diventati fluidi si sono trasformati in piedistalli elettorali funzionali al successo del leader di turno. Che poi quando perde le elezioni viene sostituito perpetuando il circolo vizioso. Dalla Costituente erano usciti istituzioni deboli e partiti forti sorretti da ideologie che dividevano il mondo in due: i buoni da un parte (la propria), i cattivi (gli avversari) dall’altra. Nella seconda Repubblica è sembrato che il leaderismo potesse arrestare la crisi. Si sono avvicendati personaggi tipo Berlusconi, Prodi, D’Alema. Che almeno avevano le stimmate del voto popolare. Poi sono arrivati Monti, Conte e SuperMario Draghi: magari eccelsi, sicuramente non parlamentari. Nel frattempo i partiti sono affondati sempre più. Senza di loro la democrazia langue; ridotti come sono fanno avanspettacolo al ritmo dei Vaffa day. E i demiurghi sono figli dello sgretolamento delle forze politiche: due mali, non uno la medicina dell’altro. Servirebbe una palingenesi. Oppure applicare l’articolo 49 della Costituzione: i cittadini «hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale». Con metodo democratico per dare loro corpo e renderli scalabili, contendibili e trasparenti. E riconsegnare alla politica il posto che le spetta: a capotavola. Sono 73 anni che quella disposizione è stata inapplicata dai partiti stessi: tutti. Il risultato sono forze politiche che invece di aiutare la democrazia la svuotano. di Carlo Fusi

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