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Scacchista svelata

La scacchista con il sorriso e senza velo, Sara Khademolsharieh, che ha sfidato la repressione di Teheran
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Scacchista svelata

La scacchista con il sorriso e senza velo, Sara Khademolsharieh, che ha sfidato la repressione di Teheran
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La scacchista con il sorriso e senza velo, Sara Khademolsharieh, che ha sfidato la repressione di Teheran
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La scacchista con il sorriso e senza velo, Sara Khademolsharieh, che ha sfidato la repressione di Teheran
Alla scacchiera con il sorriso e senza velo. E senza hijab in arrampicata, a passo di danza. Sono le donne, così vessate dal regime iraniano, a prendere sempre più a picconate l’apartheid di genere. Ha fatto il giro del mondo la foto senza velo della scacchista Sara Khademolsharieh ai Mondiali di Almaty, in Kazakistan. A otto anni davanti alle pedine, il primo titolo ai Mondiali under 12, Sara Khadem (come è conosciuta negli scacchi) ha lanciato – a viso aperto e con lo sguardo di chi non molla di un millimetro – il suo atto di sfida alla repressione di Teheran, rischiando la sua incolumità fisica di fronte alla volontà della dittatura teocratica dell’ayatollah Khamenei che impone l’hijab obbligatorio. A breve si trasferirà in Spagna con la figlia. Due anni fa annunciò che avrebbe lasciato la Nazionale iraniana in segno di protesta: la sua collega Mitra Hejazipour aveva sfilato il velo durante i Mondiali di scacchi a Mosca, venendo espulsa dalla Nazionale e ritrovando la libertà in Francia un anno dopo. Sempre Sara Khadem era stata già sottoposta a un divieto di viaggio per aver supportato la decisione di Alireza Firouzja – scacchista iraniano ora con cittadinanza francese – di non giocare più per l’Iran poiché Teheran aveva impedito ai suoi campioni di affrontare avversari israeliani. E sempre lei due anni fa era stata interdetta dalle competizioni per aver rifiutato di mostrarsi con lo hijab. La prima ribelle di re e cavalieri è stata nel 2017 Dorsa Derakhshani, rimossa dalla Nazionale di scacchi per il rifiuto dell’hijab al torneo di Gibilterra. Due anni fa c’è stato il caso di Shohreh Bayat, prima donna-arbitro di scacchi in Asia, che ha diretto senza il velo il Women’s World Chess Championship di Shanghai: venne ricoperta di critiche e minacce in Iran e la sua Federazione, anziché difenderla, prese posizione pubblica contro di lei. Nello stesso periodo si è verificato l’ammutinamento di altre sportive. Come Kimia Alizadeh, campionessa mondiale di taekwondo, che ha lasciato l’Iran per allenarsi in Olanda in vista delle Olimpiadi di Tokyo 2020. Certo, il gesto di Sara – imitato subito dalla sua avversaria Atousa Pourkashian, un’altra scacchista iraniana in gara in Kazakistan sotto la bandiera statunitense – è l’ennesimo segnale forte che giunge da una disciplina che produce campionesse mai piegate dalla forza della dittatura, emotivamente vicine al popolo che continua a scendere in piazza dopo la morte di Mahsa Amini. Prima della scacchista senza lo hijab, hanno mostrato coraggio in quantità industriali Elnaz Rekabi (arrampicata) – che ha partecipato a capo scoperto a un torneo in Corea del Sud, ritrovandosi poi l’abitazione bruciata e che una volta tornata in Iran è pure finita agli arresti domiciliari – e la pattinatrice Niloufar Mardani, che a una premiazione in Turchia ha sfilato con abiti neri, la scritta “Iran” e senza velo. Di Nicola Sellitti 

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