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Veleno populista

Brasilia come Washington. L’assalto di migliaia di esagitati al Parlamento brasiliano e ad altre sedi istituzionali della capitale Brasilia

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Veleno populista

Brasilia come Washington. L’assalto di migliaia di esagitati al Parlamento brasiliano e ad altre sedi istituzionali della capitale Brasilia

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Brasilia come Washington. L’assalto di migliaia di esagitati al Parlamento brasiliano e ad altre sedi istituzionali della capitale Brasilia

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Brasilia come Washington. L’assalto di migliaia di esagitati al Parlamento brasiliano e ad altre sedi istituzionali della capitale Brasilia

Possiamo scegliere di commentare con accenti allarmistici o – come nostro costume – tentare un approccio più razionale e riflessivo a un evento comunque disturbante. Quale che sia l’opzione preferita, non potremo comunque meravigliarci dell’assalto di migliaia di esagitati al Parlamento brasiliano e ad altre sedi istituzionali della capitale Brasilia. Perché questi sono i frutti di anni di populismo scellerato nel più grande Paese del Sudamerica. Una potenza mondiale sempre sospesa fra modernità e ricchezza, arretratezza e disperazione. Contesto ideale per un politico fanatico e senza scrupoli come l’ex presidente Bolsonaro che del populismo ha fatto una bandiera, fino a rifiutare i più elementari gesti di cortesia istituzionale. Dopo essere stato sconfitto (sia pur di misura) da Lula, Bolsonaro è ‘scappato’ in Florida dal suo amico e sodale Donald Trump, invece che presiedere a un ordinato passaggio di potere. Molto più di uno sgarbo, è la volontà di non riconoscere la legittimità dell’avversario, prima ancora che del risultato elettorale.

Oggi dice «Io non c’entro», ma resta la sostanza del segnale lanciato agli estremisti per tentare proprio ciò che fallì a The Donald due anni fa esatti con l’assalto a Capitolo Hill e il rifiuto di riconoscere la vittoria di Joe Biden nel novembre 2020. Una tragedia politica di cui gli Stati Uniti d’America pagano ancora le conseguenze: dopo quelle ore di follia, Trump non è diventato più pericoloso di prima, semmai è stato riconosciuto come tale da più ampie porzioni di cittadini, prima disposti a concedergli un qualche credito pur di vedere affermati i propri ideali o almeno gli interessi considerati più prossimi. Quello che ha lasciato in eredità il 6 gennaio 2021 è un acido sulle istituzioni democratiche Usa, non tanto (non solo) la paura che l’ex presidente possa devastare le istituzioni americane. Una radicalizzazione degli estremismi, l’aver superato platealmente limiti e confini non scritti e fino ad allora considerati intoccabili. Le democrazie sono sistemi estremamente delicati e si reggono fondamentalmente sul reciproco riconoscimento degli avversari, anche i più accesi, e sul rispetto scrupoloso della legge. La Costituzione su tutto. Venuti meno questi capisaldi, anche se non tutti, può accadere qualsiasi cosa.

Populismo fa rima proprio con estremismo, avvelenando le democrazie con il rifiuto dei più elementari concetti di equilibrio, bilanciamento fra poteri e osservanza dei limiti costituzionali. Per il populista, in special modo nella sua versione più fanatica, esiste solo ciò che verrebbe fatto a “favore” o “contro” il “popolo”. Da chi sia composto questo “popolo” nessuno lo sa: si fa riferimento genericamente a quelle fasce di cittadini che risulterebbero vittime delle macchinazioni dei poteri forti, delle multinazionali e di altri fantasmi. Agitati con sapiente maestria dialettica dai Masaniello del Terzo millennio – slogan e immagini di grande impatto e immediata comprensione – per solleticare le fantasie di chi è più disposto a confondere la propria poca voglia di lavorare e impegnarsi con presunti soprusi da vendicare. Il populista è innanzitutto una donna o un uomo pronto a credere alle favole che racconta a sé stesso. Un deresponsabilizzato felice. Una politica infantile che ha trovato i suoi campioni in Donald Trump e Jair Bolsonaro, pronti a “ufficializzare” le “realtà alternative” pur di consolidare il proprio potere. L’oggettività non esiste più, resta solo la narrazione e a quel punto vale tutto.

È un meccanismo che porta a disprezzare le regole stesse della democrazia, ridotte a una parodia nelle parole e nei gesti di leader senza scrupoli. Un veleno, si diceva, ma un veleno che affascina perché illude che esista una scorciatoia, una soluzione magica per farsi mantenere a vita dallo Stato. Badateci, le rivendicazioni populiste sono quasi sempre di una pochezza imbarazzante: si riducono a una distribuzione di regalie e prebende, in forma di risarcimento per ipotetici “torti” che non si ha neppure l’obbligo di provare. Basta la retorica del potere venduto e affamatore, della “vendetta” su chi ha studiato, si è impegnato, ha mostrato dedizione e spirito di sacrificio nella vita. Perché non c’è nulla di peggio dell’invidia dei perdenti.

Di Fulvio Giuliani

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