Peter Pan e l’offesa che non c’è
Il caso di Peter Pan, finito nel mirino di un’università scozzese, rappresenta il salto di specie della cancel culture
Peter Pan e l’offesa che non c’è
Il caso di Peter Pan, finito nel mirino di un’università scozzese, rappresenta il salto di specie della cancel culture
Peter Pan e l’offesa che non c’è
Il caso di Peter Pan, finito nel mirino di un’università scozzese, rappresenta il salto di specie della cancel culture
Il caso di Peter Pan, finito nel mirino di un’università scozzese, rappresenta il salto di specie della cancel culture
Viene da chiedersi perché. E incaponirsi a risfogliare le trecento e passa pagine sulle avventure di Peter Pan, da Kensington Gardens all’Isola che non c’è, cercando la prova del misfatto un po’ come fa il protagonista con la sua ombra. Dunque: sarà forse perché il corvo Solomon Caw definisce Peter un “Traquestequello”, né uccello né ragazzino, mentre i pellerossa lo chiamano – orrore! – “Grande Padre Bianco”? O sarà invece colpa di Wendy, che racconta ai bimbi sperduti della mamma anziché del genitore uno? E ancora: rifiutarsi di crescere non implica rinunciare a interrogarsi sulla propria identità, tantopiù quella di genere? Il problema è che la University of Aberdeen – stando a “The Guardian” il tredicesimo ateneo del Regno Unito per qualità dell’insegnamento – di tutti questi possibili perché, non ne affronta nemmeno uno. Si limita ad aggiungere il capolavoro senza tempo di James Matthew Barrie all’indice dei libri “potenzialmente offensivi”, con tanto di trigger warning. Leggere Peter Pan sarebbe infatti «emotivamente impegnativo» per gli studenti. E offrirebbe «stravaganti prospettive sul gender, pur non presentando alcun tipo di materiale deplorevole». Lo ribadiscono i portavoce dell’università, noncuranti del loro stesso cortocircuito.
Non è la prima volta che l’universo del ragazzo volante finisce nel mirino del politicamente corretto. Appena due inverni fa il celebre cartone animato di Walt Disney (1953) era stato vietato ai minori di 7 anni dalla Disney di oggi, comprovata campionessa di woke. Colpa della «rappresentazione stereotipata e denigratoria» dei nativi americani. E pazienza se i tratti di tutti i meravigliosi personaggi dell’Isola che non c’è, dai pirati ai trovatelli, siano altrettanto caricaturali: la furia cieca dell’inquisizione moderna non fa sconti. Da Omero a Shakespeare, dalla letteratura al teatro. Finora però aveva seguito una sua logica, per quanto agghiacciante, accanendosi contro specifici contenuti narrativi (Capo Toro in Piedi e la sua tribù, appunto). E quindi concreti, interpretabili, racchiudibili in un dibattito.
Il salto di specie avvenuto in Scozia, non lontano da dove nacque Barrie, ha invece i contorni dell’indefinito. Ora Peter Pan va neutralizzato a sensazione, aprioristicamente, per puro timore nei confronti della platea Lgbtqiapk+ (indefinita per definizione) o chi per lei. È un input inquietante, perché spalanca la strada a una nuova frontiera della cancel culture: l’azione preventiva. Bollini rossi, boicottaggi, censure vere e proprie. Nel dubbio, correre ai ripari. Alle paranoie. Se perfino un libro «emotivamente impegnativo» (quale non lo è?) costituisce una minaccia, tocca prepararsi a un mondo emotivamente piatto. Ma correttissimo. Peter ce ne scampi o ci faccia scappare: seconda stella a destra, arriviamo!
di Francesco Gottardi
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