Festival del Cinema di Berlino, va in onda “Blackberry”
Festival del Cinema di Berlino, va in onda “Blackberry”
Festival del Cinema di Berlino, va in onda “Blackberry”
Berlino – Immaginate un mondo dove non si possono inviare messaggi WhatsApp, Facebook non esiste e l’unico computer a disposizione è un monitor che occupa mezza scrivania. Non si tratta di una realtà distopica, ma solo di venti anni fa. Tratto dal libro “Losing the Signal” di Jacquie McNish e Sean Silcoff, il film canadese “Blackberry” – diretto e interpretato da Matt Johnson, in concorso per l’Orso d’oro alla 73° edizione del Festival Internazionale del Cinema di Berlino – racconta la nascita del BlackBerry e dello strumento che ha trasformato la nostra realtà e il nostro modo di comunicare: lo smartphone.
1996, Waterloo, Ontario. Mike Lazaridis (interpretato dal comico Jay Baruchel) e Dough (il regista Johnson) sono due giovani geni informatici. Quando Jim Baslillie (un tagliente Glenn Howerton), squalo delle imprese hi-tech, si rende conto del prodotto rivoluzionario che i ragazzi hanno sottomano, le loro vite cambiano radicalmente. Il tono comico, particolare perché nutrito da sfumature di una tensione crescente, sfocerà in intensità drammatica.
La storia della nascita dell’azienda Blackberry viene raccontata in questo lungometraggio diretto come se si trattasse di un finto documentario. Vestito come il personaggio che interpreta nel film (con tanto di fascia colorata sulla fronte), Matt Johnson ha portato alla conferenza stampa tutta l’energia del set. «I produttori mi avevano sconsigliato di recitare nel film ma Jay Baruchel non avrebbe accettato la parte se non mi fossi messo in gioco con lui. È stata una bella esperienza, interpretare un personaggio mi ha permesso di dirigere gli attori in modo molto spontaneo». Il regista ha precisato che il film è stato girato con degli obiettivi 50/500 mm («quelli usati dalla “National Geographic” per riprendere gli animali nei loro habitat naturali») e che gli operatori si sono tenuti ben distanti dagli interpreti, lasciando lo spazio necessario per permettere ai comici quella libertà artistica che lui stesso desiderava.
Il ritmo frenetico, quasi caotico ma assolutamente funzionale all’universo rappresentato, è reso proprio dai movimenti di macchina che – uniti a un montaggio incalzante – proiettano lo spettatore tra le mura degli uffici che hanno trasformato i rapporti sociali. Johnson ha infatti sottolineato che non si è trattato tanto di una scelta estetica, quanto di un vero e proprio strumento, una tecnica che ha permesso una scioltezza visivamente sorprendente. «Amo l’estetica del finto documentario» ha confidato. «Sentire che c’è qualcuno dietro la macchina da presa permette di vedere il film su due piani diversi: ciò che mi viene mostrato e l’intelligenza dell’osservatore che sta riprendendo. Si può giocare con gli spettatori, spostando l’attenzione su oggetti particolari o sguardi inaspettati attraverso lo zoom».
L’impero dello smartphone BlackBerry viene rimpiazzato dall’iPhone (letteralmente “io telefono”), uno schermo senza tasti. Se ci soffermiamo sulle parole scelte, la transizione tecnologica rispecchia perfettamente il sapore dei tempi, dove non abbiamo più tasti che ci illudono di poter controllare la realtà ma siamo completamente rapiti, inghiottiti da uno schermo, con un pizzico di individualismo che il prodotto Apple evidenzia con una i minuscola. Il film cristallizza un momento liminale, il passaggio tra il vecchio e il nuovo mondo, contando sempre sul fatto che lo sguardo dello spettatore sia contemporaneo e sappia già perfettamente come andrà a finire: un gioco, nel vero senso della parola, che diverte e fa riflettere.
di Valentina VignoliLa Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
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