Morire di fame a Bakhmut
Aleksey Gordeev ha 27 anni ed è sopravvissuto per miracolo agli orrori della guerra, gli stessi perpetrati durante l’Holodomor
Morire di fame a Bakhmut
Aleksey Gordeev ha 27 anni ed è sopravvissuto per miracolo agli orrori della guerra, gli stessi perpetrati durante l’Holodomor
Morire di fame a Bakhmut
Aleksey Gordeev ha 27 anni ed è sopravvissuto per miracolo agli orrori della guerra, gli stessi perpetrati durante l’Holodomor
Aleksey Gordeev ha 27 anni ed è sopravvissuto per miracolo agli orrori della guerra, gli stessi perpetrati durante l’Holodomor
Bakhmutsika – Nei primi posti di blocco che precedono il passaggio angusto (impossibile definirlo “strada”) che collega Bakhmut al resto del mondo civile s’incontrano le anime appena giunte nel purgatorio. Gli ultimi aprono a una densa fanghiglia impercorribile, che insieme alle ruote inghiotte ogni speranza. Il fatto che non esista ormai più un percorso definito ma che, come un improvvisato Caronte, il driver debba aprirsi la strada battendo tra le carcasse di veicoli crivellati e bruciati è il preludio a un inferno in cui resistere anche un solo minuto è davvero un’impresa.
Eppure c’è chi nel girone peggiore di quell’inferno è riuscito a resistere ben 42 giorni. Ferito gravemente durante la difesa di Bakhmut, il 27enne Aleksey Gordeev è stato catturato dalle milizie russe che, dopo averlo interrogato, lo hanno rinchiuso in un seminterrato insieme ad altri prigionieri ucraini. «Morte per fame e stenti» questo il destino prescelto per loro dai carcerieri rascisti. Vale a dire la stessa tremenda fine spettata a 10 milioni di ucraini uccisi dai russi tra il 1932 e il 1933, durante l’Holodomor. In uno spazio gelido e buio (di notte a Bakhmut la temperatura scende molti gradi sottozero), Aleksey ha visto spegnersi lentamente decine di compagni – feriti, torturati, prosciugati sino all’osso – stipati insieme a lui. I russi non hanno mai rimosso quei cadaveri, il cui numero cresceva di giorno in giorno e con esso l’odore acre della morte che andava mescolandosi con quello delle ferite riportate alla schiena e alle gambe da Aleksey, che pian piano hanno iniziato a infettarsi.
Mangiando soltanto briciole e bevendo dalle pozzanghere, il ragazzo è arrivato a perdere 38 kg di peso ma ha saputo trovare la forza di resistere. «Quando finiva l’acqua, bevevo il liquido antigelo della stufa, che però è velenoso e mi ha lentamente intossicato. Qualche volta un militare russo ha condiviso per pietà con me una parte della sua razione» ha raccontato al collega Sergei Garmash, che descrive così il momento in cui un volontario della Nuova Zelanda tra le fila delle forze armate ucraine ha tirato fuori Aleksey da quell’inferno: «Non ho mai visto nulla di simile, tranne nei cinegiornali sovietici sulla liberazione di Auschwitz. Uno scheletro vivente, estratto da uno scantinato gelido. L’ho riconosciuto a stento, raccogliendo i suoi documenti e le foto al momento dell’evacuazione».
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Trasportato d’urgenza nell’ospedale di Dnipro, Aleksey ha subìto diversi interventi chirurgici per l’estrazione di proiettili e schegge da gambe e schiena. Nei prossimi giorni verrà trasferito in una clinica a Kyiv, dove potrà ricevere cure specifiche per l’avvelenamento e la distrofia. Quella delle morti per fame e stenti è soltanto l’ultima di una lunga lista di crimini di guerra perpetrati dai russi in questa pagina buia della storia contemporanea chiamata “operazione militare speciale”.
Di Giorgio Provinciali
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