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divieto di soccorrere cani

Sulla pelle degli animali

Sta circolando un messaggio affisso sulle bacheche di alcuni ambulatori veterinari campani che vieta di soccorrere un cane trovato per strada. Le conseguenze sono disastrose

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Sulla pelle degli animali

Sta circolando un messaggio affisso sulle bacheche di alcuni ambulatori veterinari campani che vieta di soccorrere un cane trovato per strada. Le conseguenze sono disastrose

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Sta circolando un messaggio affisso sulle bacheche di alcuni ambulatori veterinari campani che vieta di soccorrere un cane trovato per strada. Le conseguenze sono disastrose

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Sta circolando un messaggio affisso sulle bacheche di alcuni ambulatori veterinari campani che vieta di soccorrere un cane trovato per strada. Le conseguenze sono disastrose

Circola da alcuni giorni sui social un messaggio affisso sulle bacheche di alcuni ambulatori veterinari in Campania dove si legge, fra le altre cose, che sarebbe vietato soccorrere un cane ritrovato in strada. Gli animali vaganti sono di norma considerati responsabilità del Comune e quindi la procedura sarebbe quella di chiamare i Vigili, che a loro volta dovrebbero allertare l’Asl affinché il cane venga portato in canile. E solo dopo essere stato sottoposto alle dovute cure, possa essere eventualmente affidato o adottato. In linea puramente teorica una prassi corretta, peccato che si scontri con una realtà che racconta ben altro.

La Campania, così come altre Regioni in particolare del Sud Italia, sono ad alto tasso di randagismo e di abbandoni. Se il soccorso degli animali ritrovati in strada, cuccioli compresi, fosse affidato alla prassi, molti di questi animali sarebbero condannati a morte. In primis per una questione di tempistiche: quanto ci mettono i vigili urbani a intervenire per un cane vagante? Ammesso che lo facciano? E quanto, perché arrivi la Asl? Non ci vuole molta fantasia per immaginare che un animale ferito nel frattempo rischi di morire. O un cane vagante, di scappare. Chi lo tiene fermo dove l’ha trovato in attesa che qualcuno intervenga? Per questo associazioni e volontarie in Regioni come questa sono necessarie, fondamentali. Così come i privati cittadini che non si girano dall’altra parte. Peccato che questo foglio abbia scatenato il panico.

Molti ambulatori veterinari non sterilizzano più cani portati da volontarie e associazioni, e si rifiutano di microchipparli. Ma microchipparli è fondamentale per poterli fare adottare. Inoltre, se ogni cane randagio dovesse essere portato in canile, il sistema collasserebbe. Anzi, è già collassato. Perché non tutti i comuni hanno canili convenzionati, in primis. In secondo luogo perché i canili in alcuni casi sono tutt’altro che a norma. Lo dimostra l’ultimo controllo dei Nas: di 876 canili ispezionati in tutta Italia 244 sono risultati irregolari. Ovvero quasi uno su 3. E di questi, 26 sono stati sottoposti a sequestro. Con i gestori accusati di reati quali il maltrattamento, per citarne uno. Senza contare il tema economico: i canili sono pagati con soldi pubblici. Sarebbero ben spesi, se funzionassero come devono. Ma sappiamo che la realtà è differente.

Di più, in realtà la legge della Regione Campania a cui si fa riferimento non vieta affatto il recupero di animali vaganti da parte di privati. Semplicemente, non menziona l’eventualità. Lo omette. Che è diverso dal vietarlo. E se pure fosse presente una circolare che parla di divieto, non può essere certo una circolare interna a modificare una legge. Eppure c’è chi si sta comportando come se fosse così.

Ma soprattutto, qual è il fine? Qualcuno ha sostenuto che sia evitare il traffico illegale di animali di razza. E ci sta. Ma che c’entrano i randagi? Soprattutto, che succederebbe se da ora in avanti volontari, associazioni, semplici cittadini, smettessero di fare quello che è un puro e semplice atto di civiltà e di umanità cioè soccorrere un animale in pericolo? Che molti di quegli animali morirebbero. E invece di complicare la vita a chi cerca di aiutarli, forse bisognerebbe preoccuparsi di far funzionare davvero ciò che è di competenza delle istituzioni.

Di Annalisa Grandi

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