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L’ineludibile sfida del Pnrr

Le parole di Meloni “Il Pnrr non l’abbiamo scritto noi” non sono una buona scelta per chi deve guidare il governo. Il rinculo di un eventuale fallimento travolgerebbe tutta la maggioranza, con pochi distinguo
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L’ineludibile sfida del Pnrr

Le parole di Meloni “Il Pnrr non l’abbiamo scritto noi” non sono una buona scelta per chi deve guidare il governo. Il rinculo di un eventuale fallimento travolgerebbe tutta la maggioranza, con pochi distinguo
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L’ineludibile sfida del Pnrr

Le parole di Meloni “Il Pnrr non l’abbiamo scritto noi” non sono una buona scelta per chi deve guidare il governo. Il rinculo di un eventuale fallimento travolgerebbe tutta la maggioranza, con pochi distinguo
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Le parole di Meloni “Il Pnrr non l’abbiamo scritto noi” non sono una buona scelta per chi deve guidare il governo. Il rinculo di un eventuale fallimento travolgerebbe tutta la maggioranza, con pochi distinguo
Come si usa fra chi ha studiato, cominciamo con una riflessione preliminare. Dopo la Svezia, anche in Finlandia ha prevalso la destra, prepensionando Sanna Marin, nuova stella (già cadente?) nel firmamento progressista continentale. Come la consorella scandinava, anche la destra finlandese ha prevalso facendo appunto la destra e cioè rimproverando ai socialisti un’eccessiva spesa pubblica e pigiando sull’acceleratore del nazionalismo – compreso qualche scivolone xenofobo – stavolta in versione anti-Mosca vista la guerra in corso fra Federazione Russa e l’Ucraina. Significa un rapporto con l’Ue sulla base (per ultra semplificare) di un richiamo all’austerity, a una maggiore sicurezza, al controllo delle frontiere. Un piccolo monito per la destra italiana che invece voleva, e in qualche sua propaggine ancora vorrebbe, contestare Bruxelles immaginando in tal modo di avere maggiori possibilità di allargare i cordoni della borsa. E veniamo al punto nodale, che sempre l’Europa riguarda. L’affermazione di Giorgia Meloni «Il Pnrr non l’abbiamo scritto noi» squaderna la non trascurabile distanza che esiste fra una leadership politica e una di governo. Quando la prima si trasfonde nella seconda quell’affermazione è priva di senso. Di più: minaccia di collocare Palazzo Chigi in un’orbita così eccentrica da farla schizzare nello spazio profondo dell’insussistenza. Intanto perché, chiunque l’abbia scritto (era la Von der Leyen a definirlo «esemplare», ricordate?), resta incontestabile che l’Italia ha assunto degli impegni con l’Unione e non può sconfessarli, pena la definitiva perdita di prestigio e credibilità. Vale pure per quei leghisti che, seduti nell’iperuranio, discettano sul fatto che gli obiettivi (e i finanziamenti) si possano restringere, facendo diventare il più imponente flusso di denaro verso Roma dai tempi del piano Marshall l’ennesima, clamorosa occasione persa. Ma poi soprattutto perché è cambiato il contesto di riferimento e non lascia indenne nessuno, maggioranza e opposizione. Il governo Meloni è un governo politico, non tecnico. Significa che Giorgia sta dove sta per indicazione degli elettori che il meccanismo istituzionale italiano ha trasformato in incarico di governo prima e voto di fiducia poi. In quanto politico, il governo di centrodestra si porta sulle spalle il peso sia delle scelte sia delle non scelte, e non ci saranno sconti quando si ritornerà alle urne. Se infatti il governo avrà agito bene e trasformato il Pnrr nel carburante giusto per lo sviluppo – magari rivedendo alcune priorità a causa dei sommovimenti economico-finanziari in atto – allora il miele elettorale diventerà ingrediente fondamentale per realizzare il giusto giulebbe per brindare al rinnovato successo nelle urne a fine legislatura. Ma se invece il Pnrr, indipendentemente da chi l’ha scritto e vidimato, si dimostrerà un castello di carta mal gestito e poco significativo, il rinculo di biasimo si riverserà sulla maggioranza presumibilmente senza troppe distinzioni, investendo direttamente la prima presidente del Consiglio donna. Immaginare scorciatoie o cortine fumogene non soltanto è illusorio ma soprattutto autolesionistico. Il governo politico nasce sull’onda di un patto fra eletti ed elettori che diventa l’asse sul quale si snodano successi e insuccessi. Sia i primi che i secondi non sono merce scambiabile: sempre Meloni e il centrodestra se ne accolleranno la responsabilità. Con un particolare: se il Pnrr fallisce o si ridimensiona a patirne le conseguenze non saranno solo gli attuali alleati di coalizione e la premiership che ne è conseguita. Sarà l’Italia intera, il che è molto più importante. E grave. Di Carlo Fusi

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