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Epopea del KaDeWe la vetrina berlinese

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KaDeWe, il grande magazzino del glamour berlinese dal cuore italiano, diventa una serie tv sul canale tedesco “Ard”. Un’occasione per rivivere sfarzi e decadenze della storia tedesca, dal nazismo alla caduta del Muro.
Pochi, anche tra le migliaia di italiani che ogni anno ne varcano la soglia, sanno che il KaDeWe ha un cuore italiano. Il suo nome per esteso è Kaufhaus des Westen, Grande magazzino d’Occidente. È l’equivalente berlinese degli Harrods a Londra, di Lafayette a Parigi o di Macy’s a New York, ma con qualcosa di più: la storia che gli si è incrostata addosso, anno dopo anno, decennio dopo decennio, fino a farne il simbolo di un secolo, il Novecento. Da sette anni il colosso tailandese Central Group ha acquisito il 50,1% della proprietà del KaDeWe dall’austriaca Signa Retail, che ha mantenuto la quota di minoranza del 49,9. Ne ha affidato la gestione alla Rinascente, da dieci anni inglobata in Central Group, e gli italiani si sono messi al lavoro per ridisegnare spazi e moduli di esposizione. Per festeggiare i suoi 115 anni di vita, il primo canale tedesco “Ard” sta dedicando al KaDeWe una serie tv, sull’onda di fortunati sceneggiati che hanno rispolverato negli ultimi tempi il glamour berlinese. Sessantamila metri quadrati di spazio espositivo, il Grande magazzino d’Occidente è probabilmente il ‘monumento’ più visitato anche dai turisti. Ad attirarli è soprattutto il leggendario sesto piano, il settore gastronomico ricco di ristoranti, vinoteche, bistrot e di prodotti alimentari freschi provenienti da tutto il mondo: formaggi dalla Francia, salumi dall’Ungheria, pasta fresca dall’Italia, spezie dall’Asia, caviale dalla Russia, ostriche dalla Bretagna, aragoste dal Maine. Il tutto innaffiato da litri di champagne o Chablis francese, che fanno di questo angolo cittadino un indirizzo non proprio economico. Negli anni del Muro era l’unico posto dove trovare la mozzarella di bufala campana fresca. Dentro questo caleidoscopio scintillante è transitata in 115 anni un’umanità assai varia. Dal bel mondo dell’aristocrazia militare prussiana – che da Potsdam sciamava verso Berlino lungo i viali della Kurfürstendamm – alla trasgressiva bohème artistica degli anni Venti, cosmopolita e multiculturale, che aveva eletto Berlino a capitale del mondo e il KaDeWe a suo emporio: Marlene Dietrich, Christopher Isherwood, Billy Wilder, Otto Dix, Luigi Pirandello, Filippo Tommaso Marinetti e Vladimir Nabokov, che pure a Berlino non si integrò mai. Divenne poi il freddo spaccio d’élite delle gerarchie naziste e ne pagò le conseguenze, sbriciolandosi sotto le bombe della Seconda guerra mondiale in una collina di macerie, una delle tante nella Berlino della “Stunde Null” (“Ora zero”). Rinacque a nuova vita dopo la guerra e subito tornò a circondarsi di strass e paillettes, celebrandosi come vetrina d’Occidente, baluardo consumistico e luccicante del capitalismo in opposizione alla seriosità pauperistica della Berlino comunista. Il KaDeWe divenne un simbolo della guerra fredda, isola artificiale in un mare di totalitarismo, avamposto di luci e beni di consumo. Poi il Muro cadde e il primo posto dove i berlinesi dell’Est andarono a spendere il sussidio in marchi occidentali fu proprio il KaDeWe, davanti alle cui vetrine si formavano file interminabili dei nuovi cittadini della Germania riunita. Un’attrazione che la vetrina d’Occidente non ha più perduto, neppure di fronte all’incalzare dei moderni centri commerciali. di Pierluigi Mennitti

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