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Cara estate

Cara estate

È una cara, carissima estate. Da Nord a Sud, l’Italia sembra aver scelto la pericolosissima strada degli aumenti generalizzati e spesso indiscriminati a carico dei turisti
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È una cara, carissima estate. Da Nord a Sud, l’Italia sembra aver scelto la pericolosissima strada degli aumenti generalizzati e spesso indiscriminati a carico dei turisti
È una cara, carissima estate. Da Nord a Sud, l’Italia sembra aver scelto la pericolosissima strada degli aumenti generalizzati e spesso indiscriminati a carico dei turisti. I numeri della stagione sono buoni, l’Italia ha recuperato e non di rado superato i livelli pre-Covid e riconquistato posizioni rispetto ai principali concorrenti, eppure i record previsti fra l’inverno e la primavera resteranno una chimera. All’appello mancano almeno due delle mete per eccellenza del turismo e delle vacanze nel nostro Paese: la Puglia e la Sardegna. Due casi emblematici e utili a comprendere il fenomeno che si sta verificando sotto i nostri occhi: siamo troppo cari. Pur con tutte le eccezioni, gli aumenti medi registrati fra Salento, Gargano, alcune delle zone più battute della Sardegna – ma anche Campania, Sicilia, Liguria, destinazioni montane e via andare – sono tali da aver spinto moltissimi vacanzieri italiani e stranieri verso altri lidi. Quando va proprio bene, comunque nel nostro Paese a caccia di soluzioni più ‘umane’. Quando (spesso) va meno bene, presenze che abbiamo regalato alla concorrenza. Sia chiaro, il fenomeno non è soltanto italiano e fare due esempi aiuterà a capire: da tempo la Grecia non è più la Grecia dei nostri ricordi di ragazzi. Le vacanze a prezzi stracciati su alcune delle meravigliose isole dell’Egeo o dell’Adriatico sono un ricordo. Anche i fratelli greci hanno imparato bene la lezione, cominciando a martellare pesantemente su costi e tariffe. Con l’ingresso nell’euro, la Croazia sta sperimentando il medesimo fenomeno che toccò a noi fra il 2002 e il 2004: l’assenza di controlli e il mancato, intelligente sfruttamento di un periodo di circolazione parallela fra la vecchia e la nuova valuta sta spingendo in alto i prezzi, in particolar modo dei servizi più comuni e popolari. E il turismo è il primo settore a pagarne le conseguenze. In questo caso mal comune è tutt’altro che mezzo gaudio, perché far pagare una coppia di sdraio e un ombrellone più di 100 euro è una pessima abitudine che va diffondendosi non soltanto nelle mete più esclusive come Positano, Capri, Porto Cervo, “il Forte” o alcuni tratti del Salento e della Liguria, ma anche in destinazioni un tempo non lontano considerate “per famiglie” e oggi schizzate fuori controllo. Persino nella leggendaria Riviera romagnola può capitare di pagare cifre impensabili tre anni fa. Quale ingenuità ritenere che la sola leva del prezzo possa definire l’esclusività di un luogo, quando servizi e infrastrutture sono quelli di sempre, se non peggiorati dall’usura e dallo scorrere del tempo. C’è stata un’evidente ubriacatura collettiva, se è vero che adesso si sprecano le offerte stracciate last second per i traghetti diretti in Sardegna, a un terzo dei prezzi di marzo. Persino alcune tratte aeree, in questa torrida estate dei cieli, sono meno proibitive di un mese fa. È un gioco molto pericoloso, quello che una buona fetta di operatori turistici italiani ha intrapreso con leggerezza: nel mondo iper connesso di oggi, nel mercato dell’offerta in tempo reale online, è un attimo finire fuori gioco. Quello che preoccupa e fa arrabbiare del turismo all’italiana è la masochistica resistenza al cambiamento: non miglioriamo quasi niente, l’offerta è sempre la stessa, ci facciamo dei gran sonni sugli allori, tranne stressare oltre ogni limite la leva dei prezzi. Se avete ancora dei dubbi, ripercorrete la tragicomica vicenda dei balneari. Così facendo anche gli albergatori, i ristoratori e gli operatori in genere desiderosi di distinguersi e offrire un servizio al passo con i tempi finiscono per subire le pessime abitudini della massa. Un turismo che – invece di generare un virtuosa corsa alla concorrenza basata sul servizio, sulla competenza e sulla modernizzazione – si avvita in una spirale di prezzi che è infantile ascrivere all’inflazione e ai generici rincari delle ‘materie prime’. Così ci si gioca il mercato.   di Fulvio Giuliani

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