Israele, il tempo della reazione
La storia recente è utile per orientarci sul conflitto arabo-israeliano. Un solo nemico, Hamas, e un popolo che dovrà reagire: Israele
| Esteri
Israele, il tempo della reazione
La storia recente è utile per orientarci sul conflitto arabo-israeliano. Un solo nemico, Hamas, e un popolo che dovrà reagire: Israele
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La storia recente è utile per orientarci sul conflitto arabo-israeliano. Un solo nemico, Hamas, e un popolo che dovrà reagire: Israele
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La storia recente è utile per orientarci sul conflitto arabo-israeliano. Un solo nemico, Hamas, e un popolo che dovrà reagire: Israele
Parliamo dei palestinesi, di Gaza, dell’abisso cui si accede non appena s’attraversa il confine, dopo avere subìto i controlli militari. Parliamo di quanto splenda il sole del benessere, anche nella notte israeliana, e di quanto sia buio il malessere, anche nel giorno palestinese. Si deve partire da lì per capire che i palestinesi sono ostaggio di Hamas, che è Hamas il carnefice dei palestinesi. E lo è per servire gli interessi di chi della vita dei palestinesi se ne frega e anzi prega per la loro morte, da potere usare per ottenere la soppressione cui maggiormente aspira: quella di Israele. Che non otterrà mai, perché lo difenderemo come bastione di libertà e sicurezza.
Non serve partire dai Filistei. Dopo la Prima guerra mondiale si trovò sotto il mandato inglese. A seguito del conflitto arabo-israeliano (1948) passò sotto l’amministrazione egiziana. Una nuova aggressione, una nuova guerra (quella dei Sei giorni, scatenata da Egitto, Giordania e Siria nel 1967) provò a cancellare Israele, che vinse e conquistò anche la striscia di Gaza. Nel 1993 Israele – con un atto legato agli Accordi di Oslo e destinato a propiziare la pace e la convivenza – abbandona Gaza e la consegna all’Anp, l’Autorità nazionale palestinese. È qui che comincia la storia che porta al massacro. È da qui che si capisce chi produce morte e miseria per i palestinesi.
Negli anni molti vecchi nemici di Israele ne sono divenuti alleati o, almeno, confinanti pacifici. Come Egitto e Giordania. La pace si è accompagnata alla restituzione dei territori occupati dalla difesa israeliana, come il Sinai. Da ultimo gli Accordi di Abramo, con Bahrein, Emirati Arabi Uniti e Marocco. Era in stato avanzato il negoziato perché vi aderisse anche l’Arabia Saudita. Questo è il punto: Hamas ed Hezbollah, due organizzazioni terroristiche, non si battono per i palestinesi ma usano i cadaveri e la miseria dei palestinesi per bloccare quei processi di pace e convivenza. La striscia di Gaza è tornata a essere un problema non quando gli israeliani la consegnarono ai palestinesi, ma quando Hamas fece fuori l’Anp. Che non conta più niente. È da quando Hamas vinse le elezioni, grazie ai soldi che riceveva, che Gaza è divenuta una rampa di lancio – continuo – per missili contro Israele. Approcci ragionevoli e aiuti sono stati neutralizzati dalla furia terrorista.
A finanziare Hamas ed Hezbollah sono quanti conducono una guerra contro il mondo arabo che ha scelto di convivere con Israele. In testa a tutti l’Iran, che fornisce ai terroristi senza Stato gli stessi droni che fornisce a un terrorista con lo Stato, Putin. L’obiettivo è far saltare l’ordine mondiale, che vedrebbe esclusi e perdenti le teocrazie deliranti, le dittature liberticide e il terrorismo.
Guardiamo dentro Israele. Da noi, del tutto irragionevolmente, rave party è quasi divenuto sinonimo di “reato”. Lo è l’occupazione illegittima di spazi, lo è lo spaccio di droga, ma non la musica e il ballare. Il rave nel deserto israeliano è il nostro mondo, la nostra libertà; quelli che ballano siamo noi, il nostro traversare la vita. Quelli che hanno ucciso e rapito sono carnefici senza ideali, senza possibili scusanti o sfondo di motivazioni etniche. Soltanto terroristi al soldo di dittature e centrali del terrore.
Com’è stata possibile tanta efficacia? Non è vero che non fosse previsto. Forse è anche più grave: Israele ha sempre saputo d’essere sotto minaccia, ma ha perso il tempo della prevenzione e reazione. Lo ha perso anche perché dilaniato da una feroce lotta interna. Certo, questo è il bello delle democrazie. Ma c’è un limite, che il governo israeliano e Netanyahu hanno superato. Hanno messo sé stessi e la loro politica avanti al Paese che stavano amministrando.
Ora è il tempo della reazione, inevitabile e dovuta. Ci sono ostaggi da liberare e un Paese che non dev’essere ricattato. Ma poi ci sarà il tempo del rimediare. Com’è doveroso ricordare sempre, Israele siamo noi e la libertà si difende sotto le mura di Gerusalemme.
di Davide Giacalone
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